Spuntino – Occhiali giusti
Come si legge nell’Haggadà, Rabban Gamliel diceva (Mishnà, Pesachìm 10:5) che a Pesach chi non pronuncia le seguenti tre parole non esce d’obbligo: 1) Pesach (sacrificio pasquale), 2) Matzà (pane azzimo), 3) Maror (erba amara). La prima ricorda che D-o passò oltre (= pasàch) le abitazioni degli ebrei durante la piaga dei primogeniti. La seconda simboleggia la fretta in cui siamo usciti dall’Egitto, senza aspettare che il pane lievitasse. La terza è associata all’amarezza della schiavitù. Ma perchè la parola Maror va detta per ultima anche se, seguendo la cronologia degli eventi, dovrebbe essere la prima? Il motivo è che un’esperienza appare diversa a seconda del momento in cui la si osserva. È difficile, per chi la subisce, perscrutare la schiavitù nell’ambito di un disegno più ampio, perchè la disperazione soverchiante non lascia spazio alla riflessione. Il Faraone lo sapeva bene e per questo periodicamente appesantiva il giogo dell’oppressione. Invece a posteriori, una volta usciti dal “tunnel” e riguadagnata la libertà, si può cogliere la possibilità che il travaglio abbia costretto il popolo ebraico ad invocare e quindi ad apprezzare ancora di più la salvezza divina. Guardando alle avversità con il senno di poi siamo in grado di capire che, malgrado le sofferenze, tutto succede a fin di bene. Sotto questa prospettiva dobbiamo collocarci nei momenti più difficili, rinforzando con ottimismo la nostra fede nell’Onnipotente. Il Maror non è un punto d’arrivo. Anche se a volte ci sembra di vedere tutto nero e di essere travolti dalle vicissitudini, senza possibilità di scorgere uno squarcio di positività, dobbiamo ridimensionare e mettere bene a fuoco ogni situazione trovando la forza di superare le amarezze individuali, collettive, materiali e spirituali. La Luce c’è, basta usare gli occhiali giusti.
Raphael Barki
(1 aprile 2021)