Vaccinati, ma non sempre rispettati
Chiameranno prima gli insegnanti delle scuole elementari? Ci chiameranno in ordine di età? In base al giorno in cui abbiamo fatto la prenotazione? Ogni ipotesi viene puntualmente smentita da esempi di segno opposto, e lo stesso accade per i nostri genitori ultraottantenni. A un certo punto (per lo meno, è così in Piemonte) sul cellulare arriva il messaggio con la data, l’ora e l’indirizzo a cui presentarsi. A qualcuno è capitato un po’ prima, qualcuno un po’ dopo, secondo criteri imperscrutabili. Altrettanto imperscrutabili le conseguenze: c’è chi è stato malissimo per tre giorni, chi per un giorno, chi per nulla, chi è stato male dopo la prima dose, chi dopo la seconda, chi non ha avuto nessun problema. E così è tutto un domandarsi reciproco, tra colleghi, tra amici, nelle mail e nei messaggi di auguri per Pesach o all’uscita dal bet hakeneset. Non ci si chiede più “Come stai?”, “Come stanno i tuoi?” ma “Sei già stato vaccinato?”, “Hai avuto la febbre?”, “I tuoi genitori hanno già avuto la seconda dose?”, “Hanno avuto reazioni?”, ecc.
Inutile dire che in mezzo a questi discorsi noi insegnanti ci sentiamo un po’ privilegiati, con quel vago e irrazionale senso di colpa che ci pervade quando abbiamo una fortuna che altri non hanno. Curiosamente, però, in un periodo in cui si aprono continuamente polemiche su qualunque cosa, il nostro privilegio, per quanto ne so, sembra essere stato accettato in modo abbastanza pacifico. Segno che godiamo di una grande stima presso l’opinione pubblica? Stando al tenore di molti colloqui con i genitori proprio non si direbbe. È passato il periodo dorato dell’anno scorso, quando i nostri sforzi di inventarci dal nulla la didattica a distanza erano accolti con grande calore e tutti – allievi, insegnanti e genitori – ci sentivamo non in lotta tra di noi ma tutti insieme alleati contro il Covid. Sono tornate le solite polemiche, le solite bufale inventate dai ragazzi a cui i genitori credono o fingono di credere, le solite proteste. Anzi, a volte i genitori appaiono più aggressivi, incattiviti da un anno di pandemia, troppo contenti di aver trovato qualcuno con cui prendersela per sfogare il proprio malumore. E con la didattica a distanza le occasioni per negare l’evidenza si moltiplicano: non è vero che mio figlio tiene la telecamera spenta, non è vero che era assente alla tale lezione. Chissà quante volte ci troviamo a domandarci: ma perché dovrei prendermela con questo o quell’allievo? Che interesse avrei a inventarmi che il tale o la tale avevano la telecamera spenta? È una cosa che non sono mai riuscita a capire, e in questa situazione di didattica a distanza, che si può fondare solo sul senso di responsabilità individuale, la capisco ancora meno. Ma dobbiamo rassegnarci: purtroppo non esiste un vaccino contro le bufale (che peraltro sarebbe utilissimo in molti contesti, non certo solo nel mondo della scuola), e se esistesse ci sarebbe sicuramente qualcuno che rifiuta di vaccinarsi perché ha dato retta a qualche bufala.
Anna Segre
(2 aprile 2021)