“Vi racconto i miei Maestri,
dal nonno al rav Cohen”
Il primo rabbino che ha conosciuto è stato il nonno materno: Ermanno Friedenthal, autorevole rabbino capo di Milano nel dopoguerra e negli anni della ricostruzione e ultimo rabbino di Gorizia prima della Shoah. Per rav Richetti è stata una presenza di quelle capaci di lasciare un segno profondo, nelle scelte di vita oltre che negli affetti. “Trascorrevamo a casa lo Shabbat e tutte le feste – ricorda – Il nonno era molto amato e rispettato e con noi nipoti sapeva essere dolcissimo”. Non stupisce dunque che il piccolo Elia sogni di emulare il rav che dall’Ungheria era arrivato a studiare al Collegio rabbinico di Firenze un po’ per caso, perché al Collegio rabbinico di Vienna i posti erano esauriti. È un’inclinazione che si approfondisce negli ultimi anni del nonno, quando le sue cattive condizioni di salute fanno sì che i parenti lo debbano assistere quotidianamente. Da quella frequentazione matura una familiarità decisiva con le sue carte e i suoi libri. “Fu un approccio fondamentale al modo di capire i testi biblici. Poi scoprii i discorsi che teneva alla radio in occasione delle ricorrenze: curatissimi, davano un valore sacro a ogni cosa. Furono anch’essi molto importanti nella mia formazione”. Con gli anni arrivano altri incontri cruciali, altri maestri. “Tra i più significativi ricorderei rav Roberto Bonfil, che mi ha avviato ai primissimi studi. Era il vice del nonno e aveva dato vita a corsi per i ragazzi del liceo di Milano: le sue erano lezioni bellissime”. Indimenticabile poi, rav David Schaumann, rabbino di Milano (“mi ha fatto comprendere la bellezza del Midrash”) e due insegnanti della yeshivah israeliana Harry Fischl che rav Richetti frequenta dopo gli studi al Collegio rabbinico di Roma. Sono Jacov Fink, a capo della com- missione esaminatrice, e soprattutto rav Shear Yshuv Cohen, direttore della yeshivah e oggi rabbino capo di Haifa: un personaggio di grande levatura, impegnato nel dialogo tra israeliani e palestinesi, che nel 2008 suscitò una furibonda polemica internazionale. Primo ebreo chiamato a parlare davanti al Sinodo dei vescovi, aveva infatti espresso ai giornalisti la sua contrarietà alla beatificazione di Pio XII motivandola con il silenzio papale davanti alla Shoah. “Ricordo ancora il suo discorso di chiusura del ciclo di studi. Ci invitò a evitare di pranzare e cenare a casa dei membri della nostra comunità per non suscitare gelosie. Gli feci presente che per molti la presenza del rabbino era importante a significare la validità della kasherut di casa propria. Ci pensò su e ci invitò a riflettere su quanto sia difficile il nostro compito e sulla necessità di saper sempre scegliere tra linea del principio e quella dell’opportunità”.
“Rav Cohen mi ha insegnato ad ascoltare le persone e a mantenere sempre un atteggiamento di apertura mentale. Sono valori che per lui vanno tenuti presenti nella ricerca del modo più rigoroso di facilitare l’osservanza, puntando sempre sullo studio approfondito e rigoroso dell’Halakhah”. E proprio nell’arte di coniugare le qualità umane a quelle culturali rav Richetti individua il grande insegnamento appreso dai rabbini che ha conosciuto. “Nel rabbinato di oggi vedo una maggiore profondità negli studi halakhici e talmudici, rispetto agli studi scientifici che un tempo venivano forse più privilegiati. Questo può essere molto positivo se accompagnato da doti umane che a volte si rischia di non vedere”.
Daniela Gross, dossier “Rabbini” – Pagine Ebraiche agosto 2011
(5 aprile 2021)