Il fico
Il fico è la prima pianta citata nella Torah (in occasione della cacciata di Adamo ed Eva dal Giardino dell’ Eden) ed è anche ricordata in molte altre occasioni. Il fico è una specie che appartiene ad un genere amplissimo: oltre 1000 specie fanno parte di questo genere, ma il Fico comune è l’unico commestibile. Il nome latino, Ficus carica, denota la sua origine dall’antica Caria, regione della Turchia prospiciente Rodi, anche se studi più approfonditi fanno risalire le sue origini all’ Armenia e all’ area Caucasica. Ma dalla costa turca sud occidentale il Fico deve essersi diffuso alle terre del Mediterraneo in tempi antichissimi, molto precedenti il ritorno degli Ebrei dall’ Egitto. Infatti nei libri di vari profeti (Micah 4:4; Joel 2:22) per descrivere un periodo di pace si dice che gli uomini siederanno all’ombra del Fico e sotto i tralci di vite. Lo “stare seduti sotto l’albero di fichi” è simbolo della pace che scaturisce dalla fedeltà all’alleanza con Dio; quando essa manca subentra il peccato e anche la guerra. Il primo libro dei Re (1 Re 5,5) narra la prosperità del popolo d’Israele al tempo del re Salomone con l’immagine del fico: «Giuda e Israele erano al sicuro; ognuno stava sotto la propria vite e sotto il proprio fico – da Dan fino a Beersheba – per tutta la vita di Salomone» (1 Re 5,5). Si tratta quindi di piante che gli Ebrei conoscevano bene. Taluni ipotizzano che il miele che insieme al latte caratterizza la Terra Promessa, fosse proprio il succo spremuto da fichi ben maturi. Comunque il Fico è enumerato tra le 7 specie la cui presenza rappresentava una benedizione per la Terra di Israele ove il Signore si apprestava a riportare i discendenti di Giacobbe.(Deut. 8:8). Ma la presenza del Fico in Terra d’ Israele è antichissima: reperti neolitici hanno rivelato la presenza di fichi essicati.
Il fico è una pianta che sopporta bene la scarsità d’acqua, e ha bisogno di molto sole: la pianta ideale per l’ambiente di Israele. Il fusto corto e ramoso può raggiungere altezze di 6–10 m; la corteccia è finemente rugosa e di colore grigio-cenerino; la linfa è di un bianco latte; i rami sono ricchi di midollo e sono alquanto fragili. Le foglie sono grandi ed è forse per questo che che si attribuisce a loro la funzione di copertura delle nudità di Adamo ed Eva. Funzione che è poi divenuta proverbiale per la sua inadeguatezza.
Quello che comunemente è considerato il frutto è in realtà una grossa infruttescenza (cioè somma di frutti) carnosa, piriforme, ricca di zuccheri a maturità, detta siconio, di colore variabile dal verde al rossiccio fino al bluastro-violaceo, a seconda delle varietà, cava, all’interno della quale sono racchiusi i fiori unisessuali, piccolissimi; una piccola apertura apicale, detta ostiolo, consente l’entrata degli imenotteri pronubi; i veri frutti, che si sviluppano all’interno dell’infiorescenza (che diventa perciò un’infruttescenza), sono numerosissimi piccoli acheni cioè frutto secco più o meno indurito che contiene un unico seme (che in realtà non germina quasi mai). La polpa che circonda i piccoli acheni è succulenta e dolce, e costituisce la parte edibile. Ma esistono anche piante partenocarpiche, cioè che sviluppano i frutti senza necessità della fecondazione, che la pratica agricola tende a preferire e diffondere perché garantiscono una produttività più costante e meno soggetta a fattori esterni.
I fichi cambiano nome a seconda del periodo in cui maturano:i fichi “fioroni” sono quelli che maturano in giugno e in luglio; i fichi “veri” sono quelli che maturano da agosto a settembre; e infine “tardivi”, infine, sono quelli che maturano in autunno.
Oltre al consumo fresco, che è ostacolato dalla fragilità del frutto che ne pregiudica la trasportabilità e la conservazione, una frazione importante della produzione viene essicata, dove possibile al sole, ma anche con l’ impiego di forni. I fichi secchi (che si conservano a lungo senza necessità di accorgimenti e trattamenti particolari) vengono consumati tal quali.
Ma vi è anche un’importante industria dolciaria che li utilizza abbinandoli a mandorle o a noci varie e altri frutti secchi. Un caso d’eccellenza sono le crocette calabresi che sono costituite dai fichi appassiti al sole e ripieni di frutta secca in particolare i gherigli di noci. Un’antichissima ricetta che si tramanda da generazione in generazione, una delle espressioni più tipiche della produzione calabrese. Una variante eccellente li vuole ricoperti di cioccolato. Il nome “crocette” deriva dal modo di come sono lavorati i fichi, intrecciandoli appunto, in posizione incrociata. L’arrivo del fico in Calabria (e poi nel resto dell’ Italia) è merito dei Fenici, popolo navigatore per eccellenza che, nelle traversate, trovava in questo frutto in versione secca grande nutrimento e calorie. E in questa terra l’ambiente ne favorisce la qualità, grazie a un habitat collinare ventilato.
Roberto Jona, agronomo