Spuntino
Ambivalenza della vite

A volte il confine tra positività e negatività è impercettibile. Un esempio è la vite (“ghefen”). Nei Salmi (80:9) Israele è paragonato alla pianta dell’uva. Sulla bevanda derivata esiste una benedizione particolare (“borè perì ha-ghefen”) e il brindisi è sempre “le-chayim!” (= alla vita!). Eppure il vino accompagna non solo occasioni liete (come le nozze, il brit milà) ma anche momenti tristi (il lutto, che D-o ce ne scampi) (Proverbi 31:6). Inoltre è vietato esercitare servizi di culto (che già di per sé sono fonte di gioia) sotto l’effetto di bevande alcoliche (non esageriamo!). In questo caso la soglia da non oltrepassare è di un “revi’it” (= quarto, che corrisponde a 86 millilitri, cioè un quarto di “log,” un’unità di volume biblica), che è proprio la quantità minima su cui si benedice – e quindi anche di ciascuna delle quattro coppe da riempire al seder di Pesach. Attenzione: si benedice su un certo volume ma (almeno per il Kiddush, l’Havdalà e la benedizione dopo il pasto) basta bere “melò logmav” (= un sorso pieno) (Shulchan ‘Arukh 190:3), che corrisponde a poco più di mezzo revi’it. Il divieto di “alzare il gomito” prima di entrare nella tenda della radunanza viene imposto ad Aronne (Lev. 10:9) nella parashà di Sheminì dopo la morte dei suoi figli Nadav e Avihù che – forse ancora sotto gli effetti dell’euforia seguita all’inaugurazione del Santuario – “avevano portato in sacrificio un fuoco estraneo” (Lev. 10:1,2). In fondo l’eccitazione da sbronza è solitamente seguita da un senso di depressione. L’ambivalenza del frutto della vite e, apparentemente, della vita, talvolta imperscrutabile, si manifesta perfino permutando le lettere di ghefen in neghef (morbo).

Raphael Barki