Raffaella e la lettera
da nonna Ada

Cara Raffaella,
“(…) credo che se voi avrete la fortuna di vedere ancora degli anni di pace, potrete aiutare i vostri simili a non odiarsi e a trarre dalle vicende passate qualche buon insegnamento”. Sono parole definitive contro quello che oggi chiamiamo nella nostra deriva anglofona hate speech (cioè linguaggio d’odio). Le scriveva Ada Ottolenghi nella lettera introduttiva indirizzata alla giovane nipote Raffaella Mortara che precedeva il racconto degli avvenimenti che avevano condotto la famiglia Ottolenghi a salvarsi dalle persecuzioni e dalle deportazioni. Oggi questa memoria è stata finalmente pubblicata con il titolo Ci salveremo insieme. Una famiglia ebrea nella tempesta della guerra (il Mulino, Bologna 2021), accompagnata da una importante introduzione storica di Liliana Picciotto e da una interessante postfazione del figlio Emilio (Millo) Ottolenghi, che fra l’altro fa cenno a inediti aspetti biografici del generale De Lorenzo (assai noto protagonista della storia del dopoguerra repubblicano).
È trascorso un anno dalla scomparsa repentina e prematura di Raffaella Mortara z”l, già Vice Presidente della Fondazione CDEC, e la pubblicazione della memoria di sua nonna le avrebbe fatto immensamente piacere. Una scrittura matura, da consumata narratrice, con un italiano di grande eleganza che riesce a trasmettere al lettore la profonda umanità dei protagonisti della vicenda di fughe e nascondimenti, e sa descrivere al contempo i luoghi, i colori e i sentimenti. Nella lettera a Raffaella, la nonna Ada indica il diario di Anne Frank come punto di riferimento letterario necessario per descrivere la vita di adolescenti nella persecuzione. Come nel caso della ragazza di Amsterdam, le pagine di questo libro raccontano di legami affettivi e di sentimenti. Si può dire che sia innanzitutto una storia d’amore fra Ada Valabrega e Guido Ottolenghi, narrata sullo sfondo di un’impresa di salvataggio straordinaria che ha visto la partecipazione di numerose persone, molte delle quali meriterebbero oggi il riconoscimento di giusto delle nazioni (ad alcuni in effetti assegnato) per la generosità con cui si misero a disposizione, a rischio della propria incolumità, per aiutare vite in percolo. In un contesto di narrazione che se non sapessimo vera potremmo definire romanzesca, si intrecciano i diversi piani che caratterizzano la storia dell’Italia di quegli anni, e degli ebrei in quel contesto. Si descrivono gli atti di resistenza civile e militare, ragionando sulle motivazioni umane e caratteriali che spingevano i singoli a compiere scelte pericolose, a volte oltre i limiti dell’incoscienza. Si ragiona di salvezza e delle strategie che hanno condotto ad essa (ad esempio la falsificazione dei documenti). Si parla di errori e di ripensamenti, di fughe e viaggi, e anche del ruolo del caso e della fortuna. Si accenna a tradimenti e delazioni. Il capitolo finale descrive in modo emozionante i giorni della liberazione di Roma e restituisce anche le forti sensazioni della fine di un sogno. Se di fronte al pericolo estremo l’umanità si rivela nella sua essenza buona, propensa alla collaborazione e all’aiuto, ben diversi sono gli atteggiamenti che prevalgono con l’acquisita normalità del quotidiano. “Quanta fiducia in un mondo di giustizia e di affratellamento universale! – scrive Ada Ottolenghi alla nipote – Non voglio raccontartele perché dovrei dirti anche la delusione nel vedere presto divisi gli amici che prima lavoravano a un unico scopo, nel veder riaffiorare rivalità che parevano superate, nel vedere meschinità e soprusi per arrivare alla conquista di posti di comando.” Il racconto si conclude con l’orgogliosa cronaca di come Guido Ottolenghi, unitosi alla Brigata ebraica, partecipò alla liberazione di Cotignola nel ravennate, dove la famiglia era stata nascosta e protetta dalla cittadinanza per molti mesi. E nelle frasi finali si incarica di corrispondere centralità all’imperativo della Memoria – Zakhor! – che è sostanziale nel definire l’identità ebraica. Queste le parole definitive di Ada Ottolenghi indirizzate alla piccola Raffaella e alle future generazioni: “Ecco perché la storia che ti ho raccontata è così straordinaria ed ecco perché io desidero che tu la conosca e che la conoscano anche i tuoi figli. Nella sera di Pasqua, la tua mamma ti dice: ‘Noi celebriamo questa sera, la NOSTRA uscita dall’Egitto’, perché il Santo Benedetto non liberò soltanto i nostri Padri, ma noi pure liberò insieme a loro. Questo ti dice la mamma e questo racconterai ai tuoi figli insieme ai prodigi che fece il Signore all’uscita dall’Egitto.”

Gadi Luzzatto Voghera, Direttore Fondazione CDEC