Machshevet Israel – Chi è Mefivoshet?

Il rapporto tra la “corona del re” (la politica) e la “corona della Torà” (la sapienza che deriva dallo studio, sintetizzata nel termine ebraico rabbanut) è sempre stato oggetto di grande riflessione nella storia del pensiero ebraico. Già Devarim/Deuteronomio 4,5-7 lega la grandezza dell’am Israel alla saggezza e al discernimento, espresse dai sostantivi chokhmà e binà, mentre al capitolo 17, versetti 18-20, leggiamo: “Quando si insedierà sul trono regale, il re scriverà per suo uso una copia di questa legge su un libro, copiandola da quella che posseggono i sacerdoti della tribù di Levi: la terrà con sé e la leggerà per tutta la sua vita onde apprendere a temere il Signore… affinché il suo cuore non si insuperbisca”.
Poiché il modello del re, ossia del capo politico di ogni regno ideale, sarà Davide, David hammelekh appunto, non sorprende che il Talmud ne elabori la personalità in chiave rabbinica. Diversamente da un sovrano-satrapo, che in vesti eleganti se ne sta ozioso in palazzi sontuosi pieni di aromi sensuali, secondo i maestri (tannaim e amoraim) il re Davide è “immerso negli studi e lontano dai comforts tipici del suo status regale: egli negava a se stesso persino i piaceri del sonno e chiunque lo poteva consultare per risolvere problemi halakhici. Egli mostrava inoltre un’infinita umiltà ed era sempre disposto a rivedere la propria opinione se Mefivoshet fosse stato in disaccordo con lui” (così rav Joseph Soloveitchik). E chi è Mefivoshet, da dove sbuca? Nel Tanakh di questo nome quasi non v’è traccia; è stato identificato come uno dei figli del re Shaul o forse come suo nipote, la cui vita Davide risparmiò in onore del di lui padre, Jonathan. Il nome Mefivoshet sarebbe un’alterazione di Meriv-Ba‘al, che però era anche un titolo/attributo di una divinità canaanita e perciò venne censurato, ossia trasmutato dai maestri in mippavoshet, da cui mefivoshet, che significherebbe ‘la bocca che dà vergogna’, dà imbarazzo. Il rapporto tra costui e Davide fu probabilmente difficile, in bilico tra legami affettivi e ragion di stato.
Quest’oscuro personaggio riappare nel Talmud (dove nulla del Tanakh va perduto per il non-studio!), precisamente in Berakhot 3b-4a, come un consigliere o un compagno (talmid chaver) dello stesso re Davide; anzi il Talmud lo eleva al rango di maestro dello stesso re. Davide si rivolge al Santo benedetto dicendo: “Padrone del mondo… io consulto [sempre] il mio maestro Mefivoshet su tutto quello che faccio, e gli chiedo: Mefivoshet, maestro mio, ho giudicato bene? Ho condannato e ho assolto con ragione? Ho dichiarato puro in modo corretto e altrettanto correttamente ho dichiarato impuro? [Tipico rimando al giudizio halakhico]. E non me ne sono vergognato”. Di cosa Davide non si vergognava? Una nota dell’edizione-traduzione italiana lo rivela: “Normalmente un re non si abbassa a farsi correggere, ma Davide per amore della Torà accetta di essere corretto dal suo maestro”. Segue poi una baraità che insiste sul fatto che quel maestro/compagno/consigliere si chiamava veramente ish boshet, uomo di vergogna/imbarazzo. “E perché viene chiamato Mefivoshet? Perché metteva in imbarazzo Davide sulla halakhà. Perciò, per la sua modestia, Davide meritò un discendente come Kilav”. Costui sembra esser stato un figlio di re Salomone, e secondo un’altra nota a Berakhot: “Davide gioiva della saggezza di [suo nipote] Kilav, che superava quella del suo maestro Mefivoshet”. Tutto ciò per dire che la tradizione rabbinica non si fa scrupoli nel ripensare Davide come un re totalmente sottomesso alla Torà, al punto da lasciarsi contraddire da un maestro e da un nipote quando la loro saggezza – in materia di halakhà, sottolinea il Talmud – era superiore alla sua. Il potere del melekh in quanto politico cede, deve cedere il passo al potere del chakham in quanto sapiente e studioso di Torà.
“In sintesi – dice ancora rav Soloveitchik, che ritrae anche Mosè come prototipo del melekh/re che è ad un tempo melamed/maestro e shofet/giudice – il leader ideale è dotato di qualità tipiche non tanto di un governatore politico quanto di uno studioso e di un talmid chakham (un maestro-discepolo). La sola forma di dominio e di potere approvata dal giudaismo è la masorà o la tradizione della Torà, la quale trasforma il dominio in capacità di guidare [guidance] e il potere in simpatia personale [personal communion]”. Non sorprende neppure, allora, che l’immaginazione rabbinica abbia pensato il messia, che sarà un re discendente di Davide dedito alla ricostruzione del regno, in termini di Torà: “Il messia non sarà un re-governante ma un re-maestro, come il suo antenato Davide”. Dal brano talmudico è chiaro che la grandezza del re sta nella sua umiltà, che si traduce nella disponibilità a lasciarsi imbarazzare da chi è più saggio di lui, a lasciarsi consigliare da altri e a non chiudersi nella torre eburnea dell’arroganza intellettuale. Non il potere in sé ma tale arroganza è la fonte di tutte le corruzioni etiche e politiche.

Massimo Giuliani, Università di Trento

(14 aprile 2021)