Periscopio – Illuminate

Come, sicuramente, molti dei lettori di questo giornale, anch’io ho partecipato, in occasione dello Yom ha-Shoah, all’iniziativa “Illuminate”. Per chi non lo sapesse, si tratta di un commovente programma telematico, che permette a chi lo voglia di accendere una candela in memoria di una delle vittime della Shoah, il cui nome è ufficialmente iscritto nel sacrario di Yad va-Shem. Centinaia di migliaia di persone hanno aderito alla proposta. Un numero alto, anche se non sufficiente ad assicurare una luce per tutti i martiri (di non tutti dei quali, tra l’altro, com’è noto, è conosciuto il nome). La candela da me accesa è stata dedicata a Josef Kaczala. Di lui non so nulla, se non l’età, al momento della morte: 16 anni. Non so quale nazionalità avesse (probabilmente polacca), né dove e quando sia stato assassinato. Immaginato che sia nato, verosimilmente, nel 1927, o ’28, oggi potrebbe essere ancora vivo. Ma sarebbero probabilmente vivi i figli che avrebbe generato, così come i suoi nipoti e pronipoti.
Al di là dell’infinita tristezza, questo piccolo gesto ha fatto affiorare, nella mia coscienza, diverse domande. Esiste, può esistere un legame tra me e Josef Kaczala? Abbiamo, possiamo avere qualcosa in comune? Lui è nato molto prima di me, ma è morto quando era solo un ragazzo, appena superata l’adolescenza. Mi è difficile dire, pensando a lui, se lo percepisco come un ‘senior’ o uno ‘iunior’. Se avessimo, oggi, per assurdo, l’opportunità di incontrarci, avremmo certamente difficoltà a comunicare. Siamo appartenuti a mondi molto diversi, probabilmente non avremmo avuto nessuna lingua in comune. La mia vita, quando avevo sedici anni, come quella di quasi tutti i sedicenni, non è stata semplice, sul piano psicologico, affettivo, relazionale, anche se, certamente, più che comoda sul piano materiale. Ma mi fa male solo immaginare quanti orrori possa avere vissuto Josef prima di essere assassinato. Forse ha visto uccidere, prima di morire, i genitori, i nonni, i fratelli, le sorelle, gli amici. Forse, chi sa, una ragazza che amava. O forse no, forse è morto prima di loro, e non è dato sapere cosa, per lui, per loro, possa essere stata la cosa meno dolorosa. Come scrive, ne Il processo di Shamgorod, Elie Wiesel, esistono morti più crudeli, ma non meno crudeli.
Non credo in una vita ultraterrena, e non credo quindi che Josef, dall’alto dei cieli, abbia potuto assistere al mio piccolo gesto di accendere una candela in sua memoria. Ma, provando a fantasticare che lo abbia fatto, mi viene da chiedere cosa avrebbe potuto pensare. Mi avrebbe forse ringraziato? Avrebbe elogiato la mia sensibilità, la mia umanità, si sarebbe detto lieto che qualcuno, giù sulla terra, si ricorda di lui? Mi avrebbe raccomandato al Signore, per la mia bontà, così come Beatrice raccomandò Dante? Oppure si sarebbe seccato del mio gesto? “Chi sei, tu – avrebbe, forse, potuto dire -, che vieni a turbare il mio silenzio? Che me ne faccio della tua candela? Pensi davvero che quella piccola luce rischiarerà le mie tenebre? Credi che non sappia, che, un attimo dopo, sarai di nuovo preso dalle tue quotidiane occupazioni, tornerai a ridere e a scherzare come se niente fosse? Tu non hai illuminato un bel niente, Francesco. Ci vorrebbe ben altro. Lasciami stare”.
Non so, ovviamente, cosa avrebbe potuto dirmi Josef Kaczala. Forse avrebbe guardato al mio gesto senza dire nulla, senza pensare nulla. E, se fossi io a potergli parlare, non so proprio cosa potrei dirgli. Non proverei neanche a consolarlo, a dirgli qualche parola di conforto. Non so quale sia il senso dell’umana esistenza, della sua breve e tragica vita, così come della mia, abbastanza lunga e, almeno finora, decisamente confortevole. Non so se un filo comune, nel bene come nel male, leghi tra loro gli esseri umani, e non credo che le vittime siano premiate e i carnefici puniti. L’oblio, alla fine, coprirà tutto. Ma sono comunque contento che ci sia qualcuno che crede in qualcosa che va al di là della nostra vita terrena. Delego queste persone, se possibile, a rivolgere a Josef quella preghiera che non posso formulare io.
Per quanto mi riguarda, immagino – ma, appunto, è solo immaginazione – che la vita di alcuni uomini possa essere vista brillare, come quella delle stelle, milioni di anni dopo la loro morte, a milioni di anni luce di distanza. Come Marguerite Yourcenar fa dire all’imperatore Adriano al suo amato Antinoo, sul suo nome sarebbero scivolati migliaia di millenni, senza restituirgli la vita, ma senza neanche nulla aggiungere alla sua morte. Nulla avrebbe mai potuto cancellare il fatto che era vissuto.
Quella piccola, tremula luce di candela sta solo a ricordare che Josef è esistito. Nient’altro. Significa qualcosa? Non lo so.

Francesco Lucrezi

(14 aprile 2021)