Le proporzioni sproporzionate

È sconcertante quanto la gente fatichi a mettere a fuoco le proporzioni. Si nota da certe valutazioni bizzarre a scuola, dal peso eccessivo attribuito a fenomeni limitati, e in molti altri ambiti. Ci sono però proporzioni oggettivamente difficili da gestire. Noi ebrei in Italia siamo molto meno dell’uno per mille. Quindi basterebbe un solo ebreo in parlamento perché qualcuno potesse sostenere che abbiamo un peso politico eccessivo rispetto alla nostra consistenza numerica; allo stesso modo basterebbe un ebreo che dirige un quotidiano per poter dire che gli ebrei hanno un peso eccessivo nella stampa. Però se non ci fosse nemmeno un parlamentare o un direttore di giornale ebreo potremmo considerarlo un fenomeno preoccupante, e avremmo le nostre buone ragioni perché un millesimo, o anche mezzo millesimo, è certamente molto di più di zero. In casi come questi il problema si risolve ammettendo che il gioco delle proporzioni semplicemente non ha senso: i parlamentari potrebbero essere classificati per regione di residenza, genere, professione, ecc. e per ciascuna di queste classificazioni si possono rilevare proporzioni e sproporzioni.
In altri ambiti, però, le proporzioni troppo sproporzionate possono diventare oggettivamente un problema. Prendiamo per esempio il dialogo interreligioso. Se ad un evento (incontro, conferenza, giornata di studio, ecc.) partecipano cinquanta persone tra cui uno o due ebrei (situazione in cui credo sia siano trovati molti di noi), spesso la cosa viene giudicata come un segno di chiusura o di disinteresse verso il dialogo, senza considerare che in realtà la partecipazione ebraica a quell’evento è in proporzione assai elevata. E se si facesse un sondaggio chiedendo quante persone in Italia hanno partecipato almeno una volta in vita loro a un evento legato al dialogo interreligioso si constaterebbe ovviamente che la proporzione tra gli ebrei è molto più alta. In effetti se tutti i cristiani che vivono in Italia fossero interessati a dialogare con gli ebrei sarebbe piuttosto complicato accontentarli, pur con tutta la buona volontà del mondo. D’altra parte non possiamo certo negare che il dialogo sia una cosa positiva, anzi, necessaria e vitale. Peccato che le proporzioni così sproporzionate non ci aiutino. Se alcune persone facessero più attenzione ai numeri andrebbero più caute nel bollare come chiusura e cattiva volontà quella che nella stragrande maggioranza dei casi è un’oggettiva mancanza di possibilità e di mezzi.

Anna Segre

(16 aprile 2021)