Shtisel visto dai rabbini italiani
“Efficace per sfatare quei pregiudizi
che vivono anche tra noi”

C’è chi la terza stagione se l’è divorata in un paio di notti. E chi invece se l’è goduta a un ritmo meno sostenuto, una puntata alla volta. In ogni caso, anche tra i rabbini italiani, l’attesissimo ritorno di Shtisel, la serie tv sui Haredim diventata ormai un cult a livello mondiale, non è passato inosservato.
Opinione diffusa: siamo in presenza di un piccolo capolavoro. Anche se non mancano gli interrogativi.
“Shtisel mi piace. Non è una di quelle che serie che possono offendere il mondo ebraico” dice rav Pierpaolo Pinhas Punturello, coordinatore degli studi ebraici del Centro Ibn Gabirol Colegio Estrella Toledano di Madrid. “Mi pongo però delle domande: un non ebreo o un ebreo poco coinvolto cosa possono capire? Che idea si fanno? Pensano che solo quello sia l’ebraismo? Percepiscono la particolarità di quel microcosmo?”. Guardare Shtisel, prosegue il rav, si è rivelata nel suo insieme “un’esperienza molto più dolce e piacevole” rispetto ad Unorthodox, altra serie di successo sui Haredim ma connotata da una diversa caratterizzazione dei personaggi e del loro universo di relazioni. “Quello dei Haredim – osserva rav Punturello – non è certo un monolite. Le trasformazioni sono forse impercettibili da fuori, ma ci sono, stanno avvenendo. La grande forza di Shtisel, ad esempio, è quella di gettare una luce sulla progressiva emancipazione femminile”. Altro tema che lo ha intrigato è il racconto, la finestra che si va ad aprire sui Haredim sefarditi. “Un mondo che, essendo anche israeliano e avendo vissuto a lungo in Israele, conosco molto bene. L’ho ritrovato esposto in modo autentico, vero”. Un personaggio preferito c’è? “No – risponde il rav – più che i singoli personaggi a colpirmi sono state le situazioni e i temi affrontati. Anche i gesti di ribellione, piccoli e grandi, che danno il sale alla trama”. Shtisel è una serie seguita in tanti Paesi. Anche in Spagna molti la stanno vedendo e commentando. “Persino El Pais mi ha chiesto un’opinione”, sottolinea il rav. “Viene da chiedersi – aggiunge poi – perché tanto interesse globale verso una comunità che una volta aveva le sue radici in Europa e che oggi, per quel che è avvenuto nel secolo scorso, non le ha più. Può essere forse, in parte, anche un po’ di senso di colpa?”.
“Nessuna delle tre stagioni mi è dispiaciuta. Anzi, sono molto piacevoli. Abbastanza aderenti, nei limiti del possibile, a quella che è la realtà” afferma rav Adolfo Locci, rabbino capo di Padova. Una realtà, quella dei Haredim, spesso osservata con pregiudizio anche dentro al mondo ebraico. “Tanti, tra noi, sanno ben poco di questo mondo. E spesso – prosegue il rav – lo giudicano con il filtro di stereotipi e preconcetti”. Shtisel ha il merito di portarci in una dimensione intima: non ci sono effetti spettacolari, la trama si dipana lungo una quotidianità che si potrebbe definire “normale”. Per il rav è proprio quello il valore aggiunto, l’origine del suo successo: “Viviamo in una società che ha smarrito una parte dei propri valori fondamentali. L’interesse verso Shtisel me lo spiego anche così. Con la volontà di riscoprire una dimensione un po’ perduta. Un contesto in cui si sta tutti seduti attorno a una tavola. In cui ci si parla, in cui ci si confronta. Eventi sempre più rari, purtroppo, nelle nostre case”. Non c’è personaggio, sostiene il rav, che non abbia un suo significato forte. La “variabile impazzita costituita dall’estroso Akiva”, ma anche “Giti, con il suo sforzo per tornare alla normalità dopo la crisi con il marito”. E ancora Lippe, “che consapevole dei propri errori si pente, fa teshuvà”. Dal punto di vista della recitazione il preferito è Dov Glickman, l’attore che interpreta Shulem. “Formidabile”, chiosa rav Locci.
Secondo rav Alexander Meloni, rabbino capo di Trieste, Shtisel va vista il più possibile in lingua originale. ”È la grande bellezza di una serie come questa: l’ebraico parlato alla maniera dei religiosi, molto diverso da quello dell’israeliano laico. E poi lo yiddish, così ricco nelle sue espressioni. Con la traduzione si perde molto di questo patrimonio. Anche – fa notare – il senso dell’umorismo che caratterizza varie scene e dialoghi”. Solo una minima parte del pubblico di Shtisel ha gli strumenti per affrontare questa sfida. “Infatti è un gran peccato. Lo stesso è un’opportunità per rivedere pregiudizi che esistono, anche dentro al mondo ebraico, sui Haredim. Il loro lato umano spicca con forza. Così come il costante tentativo di affrontare i problemi della vita di ogni giorno nel segno della Halakhah ma anche di uno possibile mediazione”. È, dice il rav, il tema di sempre: “Mantenere la Legge, andando però incontro all’individuo”. Una sfida che emerge chiaramente nei rapporti familiari, specie tra Shulem e suo figlio Akiva. “Quello di un figlio artista – afferma rav Meloni – è un problema non di poco conto. Lo stesso, col tempo, si riuscirà a trovare un compromesso. Ciascuno farà un passo verso l’altro. Shulem e Akiva sono due personaggi emblematici”. Nel complesso Shtisel è, per il rav, “una serie più che positiva”. Molto “più vera e giusta”, nella sua rappresentazione, di Unorthodox.
Entusiasta di Shtisel è anche rav Alberto Sermoneta, rabbino capo di Bologna. “Dico solo questo. La gente mi ferma per strada e mi chiede un parere. Cosa penso della serie, della trama, dei personaggi. Un interesse genuino, che riscontro quasi ogni giorno in prima persona. Tutto ciò è molto positivo. Anche – osserva il rav – per l’immagine dell’ebraismo”. L’impressione che si ricava, dice infatti, è quella “di una società permeata da grande umanità”. Un mondo “ricco anche di sfumature” e in cui le donne, diversamente da quel che in genere si pensa sui Haredim, “hanno un ruolo di assoluta centralità e significato: basti pensare a come, in Shtisel, mettono in riga i mariti”. E poi gli affetti: “Le relazioni familiari, ancorate su solide basi. Il desiderio di assicurare ai propri figli il destino migliore. Un mondo sano, solcato da valori profondi e autentici. Tutto quello che ‘da noi’ si sta un po’ perdendo”. Il personaggio preferito è Shulem: “Nelle espressioni, nelle risposte, nel modo di fare, mi ricorda un po’ rav Laras. È anche un chacham: gli sottoponi un problema, e lui saprà sempre darti una risposta empatica. In qualunque situazione e contesto lo si andrà a interpellare”. Shtisel, secondo rav Sermoneta, è pregevole sotto diversi aspetti. Anche dal punto di vista della sceneggiatura: “Un lavoro ottimo. Sembra davvero di stare a Mea Shearim…”.
Tra i fan di Shtisel c’è anche Manuel Moscato, romano, che ha da poco acquisito il titolo rabbinico di maskil. “Ho visto la terza serie in ebraico. Veramente molto bella. Non vedo l’ora – commenta – che arrivi la quarta”. Ad affascinarlo la vita matrimoniale “che Hanina e Ruchami iniziano a costruire sin da giovani”. Più problematico il personaggio di Giti che, osserva Moscato, “vuole a tutti i costi” che suo figlio si sposi con una ragazza ashkenazita (mentre lui è innamorato di una sefardita).
A risaltare è così una netta diversità di approccio tra marito e moglie. Con il primo, Lippe, che “capisce quello che prova il figlio e cerca di dargli dei consigli”, mentre Giti al contrario “lo costringe a sposare la ragazza che non ama”. Una scelta che ha urtato Moscato perché, ricorda, “un genitore deve ‘vedere’ la felicità del proprio figlio, consigliandolo e accompagnandolo nelle sue scelte”. Agendo diversamente, invece di felicità troverà infatti “solo tristezza”.

Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked

(16 aprile 2021)