L’utopia del Bund

78 anni fa, la data civile è il 19 aprile 1943, il ghetto di Varsavia iniziava la sua disperata rivolta. A combattere erano i giovanissimi, quelli che a Varsavia, come in tanti altri ghetti, trovarono la forza per resistere. Come diceva Marek Edelman, uno dei pochi leader sopravvissuti della rivolta, per morire con le armi in mano, non per sopravvivere. Quei ragazzi che combatterono eroicamente e con pochissime armi contro le forze soverchianti dei nazisti erano anche, del ghetto, i più politicizzati. Sionisti, comunisti, socialisti del Bund. E proprio in questi giorni, il 22, un convegno internazionale ricorda a Genova il Bund. Il Bund, un protagonista di quel mondo e di quegli anni, distrutto dai nazisti e dai comunisti di Stalin, oggi dimenticato o trascurato dai più. Come dice un brano della presentazione del convegno, “Il Bund, … la Federazione generale dei lavoratori ebrei in Lituania, Polonia e Russia, è certamente uno dei fenomeni più entusiasmanti della vita ebraica ed europea della prima metà del secolo scorso. Coetaneo del Sionismo politico (i due movimenti sono fondati nello stesso anno, il 1897), il Bund è, come la storia ha ben dimostrato, un movimento utopico.
Perché utopico? Perché i bundisti credevano che razzismo, xenofobia, antisemitismo non avrebbero rappresentato fenomeni così straordinariamente determinanti nella storia del nostro continente come invece è avvenuto. I bundisti credevano che gli ideali sovranazionali del socialismo, della giustizia, della fratellanza, avrebbero sconfitto e ridicolizzato ogni ostilità etnica e religiosa. Perché i bundisti credevano che gli ebrei potessero vivere nei paesi di residenza, collaborando al benessere collettivo della nazione, al pari delle altre componenti minoritarie della società allargata, e riceverne riconoscenza e accoglienza alla pari.”

Anna Foa, storica