Il pensiero dominante
La pandemia, effondendo la sua natura globale, occupa ormai ogni spazio. Nel nostro orizzonte di vita non esiste praticamente più altro, e ogni altra cosa è riferita ad essa. Ha mutato alle radici la nostra vita e lo sta ancora facendo; per questo dirige e condiziona sempre il nostro pensiero, sino a chiuderci altre prospettive. Il danno psicologico causato su scala planetaria dal Coronavirus rischia di essere grave quasi quanto quello fisico ed economico. Prigionieri di una visione a senso unico, ci dibattiamo nella trappola senza riuscire a emergerne, col risultato di riferire tutto ciò che ci circonda – ci accade – ci attendiamo solo al flagello che ci ha colpito e di peggiorare così ulteriormente la situazione sprofondando ancor di più in questo universo pandemico.
Quale strada prendere per uscirne? E dove trovare la forza per farlo? Credo che una via possa essere quella di predisporsi mentalmente ad affrontare la realtà al di là del Covid-19, di dedicarsi alla ricerca delle nostre radici, di ricostruire la rete dei legami culturali interni ed esterni alla nostra appartenenza. E tentare di farlo mettendo tra parentesi la contingenza pesante e negativa del virus e dei suoi impedimenti, un po’ come Edmund Husserl metteva tra parentesi il mondo per pervenire alla sua visione fenomenologica. Intendo dire porre di nuovo al centro le strutture, ridare forza al pensiero, alla riflessione sul senso delle cose, riannodando i fili spezzati dei nostri legami modificati e delle nostre abitudini profondamente alterate attraverso la priorità data ai contenuti, ai significati primi e ultimi, al nostro modo di essere.
Un esempio che può farci da guida in questo itinerario è – anche qui – Israele, dove mi trovo da qualche giorno. C’è ancora prudenza in giro, ma si respira un’aria nuova; la gente pare aver recuperato appieno, se mai l’aveva persa, la voglia di vivere e far progetti, di soffermarsi su ciò che veramente conta della propria identità. Il Covid è sempre molto presente, ma sta ormai a indicare l’ostacolo superato, lo scoglio lasciato alle spalle, il nemico sconfitto. La mente continua invece a soffermarsi sui motivi cardine del dolore e della gioia. Assisto con ammirazione e stupore al repentino passaggio dal dolore acuto, intimo di Yom ha-Zikkaron alla gioia collettiva e solidale di Yom ha-Atzmaut. A conclusione della cerimonia che ogni anno al Monte Herzl premia dodici personalità di vari ambiti che hanno aiutato gli altri e il proprio Paese, l’intrecciarsi pittoresco dei portabandiera di Tzahal rappresenta aspetti significativi dell’attualità: immagini forti di quest’anno sono stati l’aspetto minaccioso del virus, seguito però dalla siringa del vaccino che lo ha sconfitto e dal cuore che ingloba tutti i partecipanti. La medicina ha avuto la meglio sul male; l’aiuto reciproco ha unito la popolazione. Il Covid rappresenta appunto, ormai, il pericolo alle spalle, quello di cui ci si racconta l’un l’altro con animo sollevato.
Bella forza, dirà qualcuno. Facile per Israele e per gli israeliani coltivare questo spirito: la popolazione quasi tutta vaccinata, l’efficienza nella lotta al Coronavirus dimostrata davanti al mondo intero, la fase di allarme nettamente superata; la pandemia può essere considerata una angosciate parentesi. Ben diversa la situazione (e quindi l’atteggiamento) di chi, come gli italiani, si trova alle prese con la gestione caotica di una vaccinazione di massa che procede comunque ma tra mille contraddizioni, con una conflittualità tra vertici statali e regionali che crea solo smarrimento, con una perdita esorbitante di posti di lavoro. Tutto ciò è tristemente vero e concreto. E concreto è soprattutto il dolore perdurante per gli oltre centomila morti; una sofferenza che quasi si tocca con mano e che ben difficilmente può lasciare il posto a una mentalità progettuale.
Certo. Ma non sarà anche l’incrollabile, ostinata volontà di far fronte comune e andare avanti, peculiare degli israeliani e in genere di noi ebrei (per il resto sempre così pervicacemente divisi), ad aver portato il Paese fuori dal guado?
David Sorani