Regole e identità
Vi è un problema che attanaglia le nostre comunità, ed è il confine fra la fuga dalle regole e l’irrigidimento delle stesse. Quando parliamo di tradizione dell’ebraismo italiano, talora mitizzandola, stiamo in realtà cercando di individuare quel confine, tanto sottile quanto inafferrabile, che ci permette di non rinunciare alla nostra antica idea di libertà e vivere, al tempo stesso, da ebrei senza abdicare alla nostra identità.
Mi ha dato da pensare quanto ha scritto, in questi giorni, rav Scialom Bahbout sulla questione paradigmatica della kasherut. Mi permetto, e spero che rav Bahbout non me ne voglia, di riportarne un ampio brano:
“Accanto alla mitzvà di mangiare carne di animali macellati con shechità e bedikà (visita al polmone e non solo), c’è un’altra mizvà altrettanto importante (tutte le mizvot sono importanti!) ed è quella che impone all’uomo di non produrre za’ar ba’alè haim, cioè dolore agli animali più di quanto sia necessario. Se per trovare uno o due animali halak bisogna abbatterne una decina, stiamo mangiando halak “sulla pelle” dell’animale, cosa a mio avviso se non esplicitamente proibita, certamente da evitare in quanto confina nella trasgressione della mitzvà di produrre un’inutile sofferenza a un animale. Qualcuno obietterà che gli animali che non risultano halak possono essere consumati da non ebrei: penso che nell’osservanza delle mizvot, per quanto ci è possibile, dovremmo cercare di fare a meno di ricorrere ai goim: mangiare carne halak non è una mitzvà, al massimo un hiddur mitzvà, se sono soltano io a pagare…. . Un gentile può abbattere tutti gli animali che vuole, uno shochet ebreo non lo può fare per andare alla ricerca di animali halak. E’ famosa la punizione divina toccata a Rabbi Yehudà HaNassì, autore della Mishnà, che rimandò dallo shochet un agnello che era andato a ripararsi sotto le sue vesti, commentando questo suo atto con le parole “per questo fosti creato”.
Per volere mangiare halak a tutti i costi, siamo pronti a cancellare la mitzvà di zaar baalè haim: insomma mangiando Glatt, cioè halak, si corre il rischio di mettere in bocca della carne in un certo senso taref! Taref significa “sbranato”, ucciso in maniera irrituale e quindi non kasher: mi chiedo se sia molto rituale massacrare decine di animali per poterne mangiare uno?
Ora ricordo benissimo che anni fa vi erano alcune persone che mangiavano solo carne halak e chiedevano allo shochet di informarle qualora nel corso della macellazione avesse trovato un animale halak. Se la risposta era negativa, queste persone aspettavano la macellazione successiva. Ora l’errore a parere mio è quello di voler imporre un determinato standard a tutta la Comunità, per rispondere alle esigenze di poche persone che, in molte comunità, si possono contare sulle dita di una mano. Si dirà che queste sono le persone più “religiose”, ma per soddisfarne alcune, finiamo per danneggiare molte altre, costrette a subire spesso un incremento indesiderato dei prezzi. Questo comportamento può essere paragonato a quello dell’insegnante che si prende cura degli studenti migliori, una minoranza, per trascurare gli altri.
Un altro esempio può essere illuminante. Capita sempre più spesso di incontrare persone che sono celiache e che non possono mangiare cibi in cui ci sia glutine. A meno che il committente non sia celiaco, non penso che il catering organizzerà tutto il rinfresco per rispondere alle esigenze del celiaco invitato, ma si limiterà a mettere a sua disposizione alcune pietanze adatte alla sua dieta.
Lo stesso si può dire per il latte halav Israel: in questo caso non vi è il problema di sofferenza dell’animale, ma vi sono autorità rabbiniche di importanza internazionale che hanno permesso halav akum (cioè latte che non è stato sorvegliato da un ebreo fin dalla mungitura), quando si ha la certezza che le leggi dello Stato garantiscono la sua provenienza da mucche e non da altri animali proibiti. L’uso del termine Glatt viene spesso allargato anche ad altri prodotti che non hanno niente a che fare con la carne.
A tutti questi aspetti va anche aggiunto che purtroppo la richiesta di halak e halav Israel comporta un aumento dei prezzi che non è corretto imporre a tutta la collettività.
Per concludere: la kasherut della carne è cosa importante, tuttavia vi sono anche altre mizvot che trascuriamo e che sono prioritarie e alla loro attuazione dovremmo dedicare maggiore attenzione e che necessiterebbero più attenzione e impegno: visitare gli ammalati, aiutare i poveri, educare all’osservanza dello Shabbat organizzando incontri intercomunitari in cui le norme vengano applicate, accogliere lo straniero in visita nel nostro paese, invitarlo alla nostra tavola di Shabbat, magari assieme a un ebreo lontano, dedicare tempi fissi allo studio della Torah ecc.”
Non so se si debba essere o meno necessariamente d’accordo con quanto afferma rav Bahbout, per quanto le sue argomentazioni mi spingano a riflettere sul nostro modo di essere ebrei. Sono certo che il dibattito, come è regola e prassi nell’ebraismo, possa essere ampio, libero e aperto, contemplando anche opinioni diverse, forse anche diametralmente opposte. Ma in un ebraismo in crisi come il nostro vale almeno la pena di pensare vie diverse da quella del più estremo rigore, pur di rimanere all’interno dell’halakhà. L’alternativa sarebbe lasciarla alla scelta più o meno obbligata di chi preferisce rinunciarvi.
Dario Calimani