La democrazia del Capo
Il politologo Ilvo Diamanti ha pubblicato di recente su Repubblica i risultati di un sondaggio dell’opinione pubblica dal quale risulta una netta preferenza degli italiani verso le figure che negli ultimi tre anni hanno guidato il Governo – Antonio Conte e Mario Draghi – nonché verso il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Ciò permette a Diamanti di parlare di “democrazia dei Presidenti”, che nel titolo dell’articolo diventa “democrazia del Capo”, nonché di ridimensionamento del Parlamento e dell’opposizione.
Poiché si tratta di espressioni che, sia pure in modo non marcato, tendono a provocare una reazione di diffidenza verso questo indirizzo dell’opinione pubblica, sono necessarie alcune precisazioni. Quella di Governo è una funzione necessaria in qualunque regime politico, democratico o autoritario. L’idea che la debolezza del Governo sia una garanzia democratica si è rivelata sbagliata innumerevoli volte e l’Italia è stata uno dei primi Paesi a farne l’esperienza. La conquista del potere da parte del fascismo fu facilitata dalla presenza di un serie di governi molto deboli, incapaci di usare la forza legittima dello Stato contro l’eversione.
La necessità di una leadership forte, con un programma chiaro e condiviso dai cittadini, è presente in tutti i maggiori Stati europei, e ciò indipendentemente dalla presenza della pandemia, che ha certamente rafforzato questa esigenza, ma non l’ha creata.
Se la funzione di Governo è necessaria in qualunque sistema politico, la differenza tra sistemi democratici e sistemi autoritari non sta nella quantità di potere nelle mani del Governo ma nei limiti che vengono posti a questo potere e, in particolare, in una corretta applicazione del principio della divisione dei poteri: una divisione dei poteri che non riguarda soltanto i rapporti tra Esecutivo e Legislativo ma anche quelli di questi due poteri con la magistratura nonché la distribuzione del potere a livello territoriale.
In questo momento l’Italia sta attraversando un periodo – dal punto di vista del sistema politico – di sospensione: è diffusa l’idea che, non appena cessata o anche soltanto attenuata la minaccia della pandemia, si potrà tornare al vecchio sistema caratterizzato dall’onnipotenza dei partiti e dalla debolezza delle istituzioni dello Stato, prima fra tutte il Governo. Se così accadrà sarebbe stata sprecata una grande occasione per riformare le istituzioni democratiche e per renderle più funzionali alle esigenze di una società complessa.
L’esigenza di una riforma del sistema politico non caratterizza soltanto l’Italia. Lo Stato d’Israele ha la stessa necessità, resa meno evidente dalla presenza di un leader come Benjamin Netanyahu, ma sottolineata dal ripetersi senza sostanziali cambiamenti di ben quattro elezioni in un breve periodo senza che ciò porti alla formazione di un governo stabile. E’ vero che la società israeliana è, nonostante le sue forti divisioni, più unita di quella italiana nella condivisione di alcuni valori di base, ma ciò non è sufficiente a garantire un corretto funzionamento del sistema politico. È singolare che dall’interno del sistema politico israeliano non si levino voci abbastanza forti che richiedano la riforma del sistema stesso.
Valentino Baldacci
(22 aprile 2021)