Spuntino – Numeri e santità
Cos’hanno in comune “tzom” (= digiuno), “kol” (= voce) e “mamon” (= denaro)? Lo stesso valore numerico di 136, cumulativamente 408. Con quale strumento si può raggiungere la santità secondo la Torah? Intuitivamente si può comprendere che la santità comporti rinunce, buone intenzioni e sforzi. La parashà di Acharei (Mot) (Lev. 16:3) che quest’anno leggiamo insieme a quella di Kedoshim ci suggerisce una risposta concreta: “be-zot!” (= con questo). Il valore numerico di “zot” (= questo), 408, allude evidentemente al ternario di cui sopra. Il digiuno facilita l’introspezione necessaria alla teshuvà, il ritorno sulla retta via. La voce serve a pronunciare la tefillà, la preghiera. Il denaro è un mezzo per fare tzedakà, le offerte ai bisognosi. Non a caso nella parashà si parla di Yom Kippur, la solenne ricorrenza in cui ritroviamo questi tre elementi, tutti sostanziali. D’altra parte solo due non basterebbero, com’è scritto (Salmi 92:7) “ish ba’ar lo yeda’” (= lo stolto non saprà), dove “ba’ar” (= stolto) vale 272 cioè due volte 136. Anche le Massime dei Padri, che si leggono tra Pesach e Shavu’ot, fanno riferimento agli stessi elementi come vaccino contro la fallacia (Avot 3:1). “Da’ meayin bata” (= sappi da dove provieni) … da una goccia! Quindi non peccare d’orgoglio, che è normalmente figlio del denaro – “mamon.”
La Mishnà prosegue: “lean ata holekh” (= dove sei diretto) … sottoterra! Quindi astieniti dalla vanità degli eccessi, impara a rinunciare, a porti dei limiti. Qual è il limite per eccellenza? Lo “tzom,” il digiuno. Infine “lifnei Mi ata ‘atid liten din ve-cheshbon” (= al cospetto di Chi dovrai rendere conto): ecco una chiara esortazione ad usare la nostra voce (“kol”) per pregare e studiare.
Raphael Barki