L’Algeria e il nazismo
“Disegnato a carboncino o con il gesso, il suo emblema, quella croce dai rami spezzati in modo strano che sembrava una ruota, ricopriva i muri della città. C’erano croci gigantesche dipinte con il catrame accanto alla scritta ‘Viva Hitler!’. Ci si ritrovava ovunque naso a naso con quel sigillo e con quelle scritte. L’uomo che portava il nome di Hitler era talmente forte che nessuno avrebbe osato misurarsi con lui. E partiva alla conquista del mondo. E ne sarebbe stato il re. E quell’uomo così potente era amico dei musulmani: quando avrebbe raggiunto le rive di questo paese, i musulmani avrebbero approfittato di tutto quello che desideravano, grande sarebbe stata la loro felicità. Avrebbe spogliato dei loro beni gli ebrei, che non amava e che avrebbe ucciso. Sarebbe stato il difensore dell’Islam e avrebbe cacciato i francesi”.
Dunque, leggendo queste righe quasi ironiche tratte da Le Grande Maison (1952) dello scrittore algerino Mohammed Dib, dovrebbe essere ancora più chiaro come l’antisemitismo nel mondo arabo non sorse con la creazione dello Stato d’Israele. Nel clima di estrema povertà, ingiustizia sociale e ignoranza in cui si svolgono le vicende del romanzo di Dib persino un mostro come Hitler era percepito come un sogno di libertà il quale “avrebbe liberato gli algerini dal dominio coloniale”. Naturalmente un’illusione, era il 1939 e un anno dopo sarebbe subentrato nel paese il Regime di Vichy, con l’abolizione del decreto Crémieux la situazione per gli ebrei peggiorò, ma di contro alle aspettative, neppure per i musulmani migliorò. La propaganda nazista continuò a cercare di sedurre il mondo musulmano, parte dell’opinione pubblica non ne restò certo insensibile, sperando soprattutto che l’abolizione del decreto avrebbe portato vantaggi concreti alla popolazione araba. Ma anche in Algeria non mancarono gesti di solidarietà, protesta, e protezione nei confronti dei concittadini ebrei discriminati. Rispetto all’ambivalenza nei confronti degli ebrei da parte del movimento nazionalista algerino, paradossalmente, come scrive Yves C. Aouate, il razzismo antiebraico fu denunciato in più occasioni dagli ulema “riformisti” – i quali oggi sarebbero chiamati fondamentalisti poiché affini al wahhabismo -. In primis dall’influente ulema Abdelhamid Ibn Badis, o dall’ulema Tayeb el-Oqbi il quale lancerà una fatwa contro l’antisemitismo. Infine ricorda sempre lo storico Aouate che “l’antisemitismo musulmano era meno virulento e meno attivo del razzismo antiebraico manifestato tra i francesi d’Algeria”. Il celebre economista franco-algerino Jacques Attali in “L’Année des dupes : Alger, 1943” (2019) scrive che i pieds-noirs erano in prima linea nell’azione antisemita di Vichy e spronarono il regime per l’abolizione del decreto Crémieux: “In nessun luogo in Francia o nell’Impero abbiamo visto la propaganda del maresciallo Pétain diffondersi con tanta indecenza: enormi slogan che imbrattano i muri, giganteschi ritratti del buon dittatore […] Nessuno, o quasi, tra i funzionari non ebrei, avvocati, magistrati, o medici dei dipartimenti francesi d’Algeria protestò contro le discriminazioni antiebraiche”.
Spesso nel ricordare l’antisemitismo arabo si finisce per dimenticare quello europeo.
Francesco Moises Bassano
(23 aprile 2021)