L’Egitto dorato
Non c’è nessun ritualismo nel celebrare, anche da “remoto” o con presidi statici nelle pubbliche piazze, la ricorrenza del 25 aprile. Mentre c’è senz’altro un’ossessiva ricorsività in quelle polemiche che – invece – ne vorrebbero, da sempre, ridimensionare o addirittura cancellare il significato profondo. È forse bene intendersi al riguardo: chi parla di evento «divisivo» ha quasi sempre in testa un’idea di cosa l’Italia, e con essa l’Europa, avrebbe dovuto altrimenti essere, ossia quel continente nel quale i fascismi sarebbero risultati definitivamente vincenti. Pochi giri di parole, quindi, al riguardo: il fatto che lo spazio pubblico della celebrazioni sia stato più volte obbrobriosamente interferito da gruppi che, in realtà, poco o nulla hanno a che fare con il senso della ricorrenza, nulla toglie alla sua intatta rilevanza. Non ci si sottrae alla festa della Liberazione – l’evento grazie al quale i popoli europei risorsero dalle catacombe della ragione, nel mentre l’ebraismo sopravvissuto alla criminale catastrofe poteva finalmente iniziare a ricucire la trama e l’ordito della sua esistenza – in quanto vi si possono infiltrare alcuni elementi abusivi che ne minacciano il suo altrimenti lieto e partecipe svolgimento. Magari evocando i conflitti mediorientali, per coprire in tale modo il tragico vuoto pneumatico che li caratterizza. Così come, ed è quest’ultimo un fatto ancora più importante di quello precedente, non ci si ripara dietro ad incongrue e deleterie comparazioni e parificazioni, facendo pappagallescamente il verso a chi ancora una volta blatera di inesistenti «pacificazioni». A suo proprio beneficio, ovviamente. La vittima che cavallerescamente cede il posto a sedere al suo carnefice, nel nome di un qualche improbabile “perdono” o di un abbraccio tossico, non è solo un’incongrua figura sul piano storico ma innanzitutto un individuo che si condanna ad essere sconfitto una volta per sempre. Se c’è quindi un senso da attribuire all’imperativo «mai più!» esso riposa, per l’appunto, non solo nella rivendicazione che gli abomini del passato non abbiano a ripetersi ma anche nel richiamo al fatto che nessuna confusione può essere fatta nel merito della loro specifica responsabilità. Che porta con sé nomi, cognomi, appartenenze e compromissioni, spesso apertamente rivendicate. Ancora una volta, il 25 aprile è la festa di tutti. Quei tutti, beninteso, che si vogliano riconoscere per davvero nello stretto legame che intercorre tra libertà, giustizia ed emancipazione. A ben guardare, in fondo, sono forse meno di quanto si vorrebbe sperare. L’Egitto di sempre, quello delle catene portate come se fossero dei monili, non è detto che non piaccia a chi non sa cosa farsene di una Liberazione che non è mai stata sua poiché si è invece sempre compiaciuto, in cuore suo, di rimanere uno schiavo nello spirito e nel pensiero.
Claudio Vercelli
(25 aprile 2021)