“Non fummo tutti brava gente”
All’indomani della Festa della Liberazione, i quotidiani riportano delle cerimonie nelle diverse città italiane e i discorsi delle autorità. Il Capo dello Stato Sergio Mattarella nel suo intervento ha richiamato la necessità di rimanere uniti. “Il ricordo, la consapevolezza del dolore, dei sacrifici, dei tempi bui che abbiamo più volte attraversato, ieri come oggi, ci tengono uniti. Ci fanno riconoscere nel nostro comune destino. Quel ricordo è il cemento che tiene insieme la nostra comunità”, le sue parole (Corriere della Sera). Più forti i toni usati dal Presidente del Consiglio Mario Draghi, che ha richiamato gli italiani alle proprie responsabilità. “Non fummo tutti brava gente. Non scegliere è immorale, per usare le parole di Artom. – il monito di Draghi – Assistiamo oggi, spesso sgomenti, ai segni evidenti di una progressiva perdita della memoria collettiva dei fatti della Resistenza sui valori della quale si fondono la Repubblica e la nostra Costituzione. E a troppi revisionismi riduttivi e fuorvianti” (Repubblica). Il Premier, ricordando la scelta della Testimone e senatrice a vita Liliana Segre di posizionare la parola “indifferenza” all’ingresso del Memoriale della Shoah di Milano, si è anche espresso contro “il linguaggio d’odio, che sfocia spesso nel razzismo e nell’antisemitismo” e “contiene sempre i germi di potenziali azioni violente. Non va tollerato, è una malapianta, – ha sottolineato Draghi – che genera consenso per chi calpesta libertà e diritti, quando fosse un vendicatore di torti subiti. Ma diffonde soprattutto il veleno dell’indifferenza e dell’apatia” (Stampa). Sulle parole del Presidente del Consiglio e sul tema delle responsabilità riflettono oggi Michele Ainis su Repubblica (“Non eravamo tutti uguali”) e Michela Murgia su La Stampa (“Nazi-fascismo, le parole contano”). Da Milano (Repubblica) a Roma (Corriere, Repubblica), tante le cerimonie per festeggiare la Liberazione, raccontate sui dorsi locali dei quotidiani e a cui hanno partecipato le comunità ebraiche.
Nel nome di Sarah Halimi. Migliaia di persone sono scese in piazza ieri in Francia (20mila a Parigi), come in altre città europee e d’Israele, per protestare contro la sentenza della Corte di Cassazione francese che ha stabilito che l’assassino di Sarah Halimi, percossa e poi defenestrata nell’aprile del 2017, non è punibile per legge perché al momento dell’omicidio era sotto effetto di stupefacenti. Sul caso Halimi, Repubblica ospita poi un editoriale a firma di Bernard-Henri Lévy che sottolinea come “il consumo di droga non può essere una licenza di uccidere: le norme devono cambiare”. E da qui il suo appello al parlamento francese a introdurre una legge – intitolata a Sarah Halimi – che ponga rimedio a questo vuoto normativo. “Senza giustizia non c’è Repubblica”, si leggeva sul principale striscione del corteo di protesta organizzato a Parigi, racconta sempre Repubblica. Il quotidiano segnala inoltre il sit-in organizzato a Roma dalla Comunità ebraica locale vicino all’ambasciata francese e iniziative simili a Milano, Tel Aviv e New York.
Genocidio armeno, le parole di Biden. Al Corriere lo storico turco Taner Akçam, da anni impegnato a documentare il genocidio armeno, spiega l’importanza della decisione di Biden di riconoscere questa tragedia ufficialmente. “Per Ankara significherà un isolamento totale. – afferma lo storico – è una situazione che la Turchia non potrà di certo sopportare né economicamente né politicamente. È un po’ quello che è successo con la Svizzera che, durante la Seconda guerra mondiale, aveva permesso ai nazisti di depositare nelle banche del Paese l’oro sottratto agli ebrei. Alla fine le autorità elvetiche dovettero raggiungere un accordo e nel 2008 accettarono di versare 1,25 miliardi di dollari ai superstiti dell’Olocausto o ai discendenti delle vittime”. Il riconoscimento avrà anche un effetto sul piano giudiziario: “permetterà ai familiari delle vittime di chiedere risarcimenti”.
Alber Elbaz (1961-2021). È morto a Parigi lo stilista israeliano Alber Elbaz, ex direttore creativo di Lanvin. Aveva 59 anni; il suo socio d’affari Johann Rupert ha detto che era malato di Covid-19. Nato a Casablanca, in Marocco, e cresciuto in Israele, Elbaz si era trasferito a New York a metà degli Anni Ottanta e da qui la sua carriera aveva cominciato a decollare, raccontano oggi La Stampa e Repubblica.
Fatah e Hamas si spiano. Il Fatto Quotidiano racconta oggi come i due movimenti palestinesi, Fatah e Hamas, abbiano costruito un sistema di spionaggio reciproco. “Con le elezioni amministrative palestinesi fissate per il prossimo mese – le prime dopo 16 anni – le due principali componenti della politica palestinese si stanno sfidando senza esclusione di colpi, – scrive il Fatto Quotidiano – al punto che quasi certamente anche questa volta il voto verrà posticipato in una data da destinarsi”.
Daniel Reichel