Spazi rimasti
In un articolo di autori cinesi, di sei anni fa (Enfu Cheng, Yexia Sun. Israeli Kibbutz: A Successful Example of Collective Economy, World Review of Political Economy, vol. 6, no. 2, 2015, p. 160 ss.) leggo che “gli ebrei hanno sempre attribuito molta importanza all’istruzione, e Ben-Gurion una volta disse che nessun traguardo può essere raggiunto senza educazione. Dopo aver attraversato 2.000 anni di esilio, gli ebrei in Israele attribuiscono molta importanza all’istruzione. A partire dagli anni ’70, la spesa di Israele per l’istruzione non è mai scesa sotto l’8% del PIL. Il governo israeliano contribuisce al 65% della spesa totale per l’istruzione. L’istruzione obbligatoria nel Paese dura 12 anni, in base alla quale il 100% della popolazione può ricevere un’istruzione. Nel 2012, tre delle sette università di Israele sono state elencate tra le prime 100 università nel mondo, e nel campo dell’informatica, quattro università di Israele erano tra le prime 30 università del mondo”. Quanto al nostro Paese, possiamo soltanto augurarci che si restringa lo spazio della retorica e si allarghi quello di una solida cultura moderna. Non sarà facile, dobbiamo stringere i denti e resistere.
Emanuele Calò, giurista