Philip Roth tra libri, amori e scandali

Nelle scorse ore W.W. Norton, l’editore della monumentale biografia di Philip Roth scritta da Blake Bailey, ha annunciato di aver messo fuori stampa il volume, pubblicato appena poche settimane fa e diventato subito un best seller, per le accuse di violenza sessuale che gravano sul conto del suo autore. La decisione segue di qualche giorno l’iniziale misura della sospensione. 
All’opera di Bailey ma anche a un altro volume molto atteso in uscita a maggio, Philip Roth A Counterlife (Oxford University Press) di Ira Nadel, è dedicato un ampio speciale sul prossimo numero del giornale dell’ebraismo italiano Pagine Ebraiche in distribuzione. 

Parlare di Philip Roth senza parlare di donne è impossibile e il polverone mediatico sollevato dalla nuova monumentale biografia firmata da Blake Bailey non è che l’ennesima conferma. Se non si è a caccia di scandali o facili condanne, il discorso deve però inoltrarsi lungo il confine tra realtà e letteratura che mai come in questo caso è sfuggente. La vita di Roth è costellata di donne spesso bellissime, famose e molto più giovani. Mogli, amanti, amiche ed ex. Relazioni complicate e tempestose che fanno la gioia dei tabloid e in modo quasi inevitabile si rinfrangono nei suoi libri.
Non solo lo scrittore saccheggia, spesso senza pietà, la sua vita amorosa per per creare i personaggi femminili ma l’erotismo e il rapporto con l’altro sesso – nelle sue infinite modulazioni di amore-odio, attrazione-repulsione, senso di colpa-piacere – è uno dei cardini del suo universo letterario.
In questa chiave, inseguire il filo delle sue donne significa rintracciare le ragioni di un’ispirazione, come rivelano, con una scrittura trascinante, le 900 pagine del lavoro di Bailey che, a meno di un mese dall’uscita, l’editore W.W. Norton ha sospeso (e poi deciso di mandare al macero) per accuse di molestie sessuali all’autore.
Se il primo matrimonio di Roth, a 26 anni, sembra uscito da uno dei suoi libri più grotteschi è perché a parecchi libri ha dato spunto. Quando s’incontrano, Margaret Martinson, una graziosa bionda più vecchia di lui, fa la cameriera. Ha due figli e un passato turbolento segnato da alcol e abusi – un “caos goy”, come lo definisce lo stesso Roth che in principio ne è affascinato. “Era come sfogliare le pagine di un romanzo di Dreiser e quando l’orrore gli dava respiro, Roth ricordava a se stesso che questo, dopo tutto, era ciò che Flaubert aveva inteso con le vrai (la vita vera)”, scrive Bailey.
Maggie, che ispirerà molti personaggi femminili di Roth, si fa sposare con un trucco. Compra l’urina di una donna incinta e promette di abortire dopo il matrimonio. Poi si converte, lo forza anche al matrimonio ebraico e fra urla e scenate procede a rendergli la vita impossibile. Quando la menzogna viene fuori, finisce in un divorzio devastante. Sarà la morte di lei in un incidente di macchina a chiudere le feroci discussioni sugli alimenti.
Il secondo matrimonio con la bellissima attrice inglese Claire Bloom, figlia di emigrati ebrei dalla Russia, che ha recitato con Charlie Chaplin, Lawrence Olivier e Richard Burton, è un’altra storia. Si sposano nel 1990 dopo una lunga relazione, ma sono divisi fra Londra e gli Stati Uniti. Claire si sente isolata nella tenuta di Roth in Connecticut, lui non sopporta la figlia di lei, Anna, nata dall’unione con l’attore Rod Steiger. Quattro anni ed è un altro divorzio. Seguono furibonde polemiche quando l’attrice pubblica un memoir dei suoi anni con Roth intitolato Leaving the doll’s house. Lui s’infuria al punto da dedicarsi a documentare gli errori in un manoscritto che solo l’insistenza degli amici impedisce veda la pubblicazione.
Negli anni a seguire Roth rifiuterà di legarsi in modo stabile, ma la compagnia femminile non gli mancherà –non gli è mancata del resto neanche durante i matrimoni. È sofisticato, mondano, spiritoso e di gran successo. Cadere vittima del suo fascino è quasi troppo facile. Malgrado questo carosello indiavolato di donne, non ha figli. In pagine che sorprendono, Bailey svela il rapporto attento che lo lega alla bambina della prima moglie, l’affetto dimostrato ai figli delle amiche e l’idea (naufragata) di avere, lui settantaduenne, un figlio con la ventinovenne che la biografia indica con lo pseudonimo di Brigit – l’unica che, scrive Bailey, lo scrittore ha mai voluto sposare.
Le ragioni che iscrivono Roth nel firmamento letterario sono però le stesse che, fin dagli esordi, lo condannano a un fuoco incrociato di contestazioni. Lo si accusa di provare “rabbia e delusione nei confronti del genere femminile”; di considerarle le donne “mostruose”, come scrive Vivian Gornick; di ridurle a stereotipi o farne senz’altro delle caricature senz’anima. Certi ritratti di donna, l’enfasi sulla sessualità maschile più viscerale, il machismo, le oscenità ,i dettagli morbosi, gli alter ego sessuomani e libertini sono da molti considerati offensivi. Non è un caso se il meritato Nobel gli è sfuggito di mano.
Se è vero che Philip Roth si trova dalla parte sbagliata del Me Too, a tre anni dalla morte è però il momento di guardare al complesso della sua opera oltre i filtri del politically correct e della cancel culture.
Apprezzare un libro non significa approvare il suo autore né i suoi personaggi. E come nota la critica femminista Elaine Showalter, Roth è innanzi tutto “uno scrittore di esperienza maschile”. “Ci sono senz’altro alcuni passaggi in alcuni romanzi – non tanto sulla sessualità ma sulle donne che sono gli oggetti della sessualità – che trovo offensivi e difficili da insegnare”, spiega. “Però non credo affatto che questo ponga Roth oltre i limiti. Ci sono passaggi di grande tenerezza e comprensione per le donne in tutti i suoi romanzi. Neanche James Joyce era perfetto”.
Ridurre i lavori di Roth, come tanti hanno fatto, al dato biografico – il sesso, i matrimoni infelici o la serie delle amanti – è un esercizio pretestuoso che azzera la delicata alchimia della letteratura. Il legame con le donne può invece condurci in un’altra direzione, illuminare quel mondo e aiutarci a decifrarlo. Nelle voci di chi l’ha amato e delle amiche che fino all’ultimo gli sono state accanto tornano i frammenti che sono andati a comporre l’irripetibile mosaico di un’identità – la folgorante traiettoria di vita e arte di uno dei massimi scrittori del ventesimo secolo.

Daniela Gross


Con Jackie Kennedy c’è un bacio nel lussuoso appartamento di lei sulla Fifth Avenue.
È la donna più celebre del suo tempo e vedova da poco. Philip Roth, allora trentenne, ha già vinto il National Book Award ma possiede in tutto due completi e quattro paia di scarpe.

Non la richiama. “Non ero pronto”, dirà.
A Mia Farrow lo unisce invece un’amicizia che durerà fino alla morte. Si incontrano nel 1992. Lo scandalo di Woody Allen è esploso da poco ed è la moglie Claire Bloom a presentargliela perché con lei ha recitato in Crimes and misdemeanors – film che Roth considerava “il peggio del kitsch ebraico e la dissacrazione della memoria di Primo Levi”.

“Qui e lì ci sono state esplosioni di romanticismo, durante gli anni, ma nel modo in cui si è buoni amici in un’amicizia di cui la sessualità è una componente”, racconta Farrow a Bailey.

Roth, dice, “è forse il miglior ascoltatore che ho mai incontrato” e benché il suo atteggiamento nei confronti delle donne possa risultare paternalistico, non è un fatto di misoginia ma “deriva dalla parte migliore dell’uomo: ‘Voglio aiutare questa persona: voglio vederla fare del suo meglio’”.

Tra i flirt e le amicizie ci sono altri nomi famosi – da Ava Gardner a Barbra Streisand a Nicole Kidman di cui si invaghisce durante le riprese del film tratto dal romanzo La macchia umana.

Nicole lo manda su tutte le furie quando dimentica di avere un appuntamento con lui, che per l’occasione ha affittato una limousine. Per farsi perdonare lo invita a bere qualcosa, ma Roth se ne va fuori di sé. “Digli di crescere”, taglia corto lei quando un amico glielo racconta.

Molte anche le amiche scrittrici. Zadie Smith scrive che è stato Roth a liberarla dall’idea di dover fare dei personaggi di colore dei modelli per i suoi lettori; Nicole Krauss, che negli ultimi anni trascorre con lui lunghi pomeriggi ad ascoltare musica e
conversare, dice di aver trovato un sostegno e conforto nel suo lavoro e nella sua acuta disamina della mente di chi scrive.
Altre due autrici che con Roth hanno avuto una relazione e sono rimaste amiche a lui si sono ispirate. Lisa Hallyday, che in passato
aveva lavorato nell’agenzia letteraria di Andrew Wylie, in Asimmetria (Feltrinelli, 288 pp.) racconta la tenera storia d’amore fra una giovane che lavora in una casa editrice e un famoso scrittore.
In Le Furie (Neri Pozza, 399 pp.), pubblicato postumo, Janet Hobhouse ritrae invece la solitudine, l’indipendenza e la routine feroce di uno scrittore. Uno che, come Philip Roth, “organizzava la sua esistenza attorno alle due pagine al giorno che aveva stabilito scrivere”.

d.g

(Nelle immagini, dall’alto in basso: la prima moglie Meggie Martinson; la seconda moglie, l’attrice Claire Bloom; Mia Farrow, Nicole Kidman; Nicole Krauss, Zadie Smith; Janet Hobhouse e Lisa Halliday.

(29 aprile 2021)