Fu vera gloria, perché no?
Mi fa piacere che Alberto Cavaglion abbia ricordato su queste colonne la devozione degli ebrei italiani (e in particolare piemontesi) del XIX e XX secolo verso la figura di Napoleone Bonaparte: il 5 maggio del 21 non poteva passare inosservato. In generale mi pare che questo anniversario tondo sia trascorso un po’ in sordina rispetto a quello che ci si poteva aspettare. Sembra quasi che Napoleone non susciti particolari entusiasmi, per lo meno in Italia. E se la mia impressione è corretta, questo accade perché Napoleone ha tradito la rivoluzione francese o perché l’ha esportata? A volte mi viene il sospetto che l’antipatia di qualcuno sia motivata da una sorta di simpatia per la reazione, sentita come difesa di valori tradizionali (non importa se comportavano diseguaglianze e discriminazioni), e da una sorta di insofferenza verso i valori di libertà, uguaglianza, fratellanza per il solo fatto che allora furono imposti all’Italia dall’esterno.
Quante volte sentiamo ripetere, come una sorta di ritornello, che la democrazia non si può esportare. Io non sono affatto convinta che questo sia vero sempre e comunque; ma soprattutto mi preoccupa il fatto che dietro a questo ritornello spesso si cela una sorta di nostalgia o simpatia per le non democrazie (dai fascismi ai fondamentalismi) abbattute da interventi esterni. A volte sentiamo dire che la democrazia non è adatta ad alcuni popoli perché non è nella loro cultura (come se le persone potessero divertirsi ad essere oppresse, incarcerate, torturate, uccise, discriminate, perseguitate, ecc. perché fa parte della loro cultura). Allo stesso modo qualcuno potrebbe dire che poco più di duecento anni fa era parte della cultura italiana tenere gli ebrei chiusi nei ghetti. Ma per fortuna qualcuno si è imposto dall’esterno. Manzoni può mettere tutti i punti interrogativi che vuole ma per noi ebrei la liberazione dei nostri antenati da un’oppressione secolare fu indubbiamente vera gloria.
Anna Segre