L’Italia e l’antisemitismo

Ma esiste l’antisemitismo in Italia? Per una recente indagine europea cui sono stato invitato a partecipare, ho risposto con un indicatore 4 o 5 (non ricordo bene) su 10. Insomma, a mio parere, l’antisemitismo esiste, ma poco, non in forma grave. Ed è per lo più un antisemitismo di pensiero e di parola, non di azione.
Qualche giorno fa, tuttavia, la domanda me la sono dovuta porre nuovamente, e da solo questa volta, mentre me ne stavo al ristorante con mia moglie e mia figlia. Qualcuno dirà: ‘Ben ti sta, così impari ad andare al ristorante’. Nel piatto avevamo una paccheri al tonno e due San Pietri. È vero, il nome di quest’ultimo non depone a favore della nostra aderenza alla Legge, ma si tratta di pesce assolutamente casher.
Terrazza sul Canal Grande. Splendida giornata di sole. Atmosfera ideale per riappropriarsi di una vita che sembra finalmente tornare alla normalità. Momenti di rara serenità, che ci mancavano davvero da troppo tempo. Al tavolo accanto, una coppia e due amiche in età, persone a modo, di buona famiglia, discretamente colte, forse anche più che discretamente. Una di loro sembra un’artista impegnata.
La signora della coppia tira fuori una guida e si mette a leggere del Ghetto di Venezia e degli ebrei. Poso la forchetta mentre uno strano groppo mi serra lo stomaco sotto lo sterno. Il solito groppo, lo riconosco facilmente. Immagino già dove andremo a parare. Mi auguro che siano ebrei, così rischiamo meno. Ma non lo sono.
Legge, la signora, e commenta: ‘Però, già nel Cinquecento li isolavano’. Poi fra dei sottovoce inafferrabili, mozziconi di frasi si inframezzano a mo’ di fiume carsico creando un testo e un’atmosfera: ‘Beh, sì, hanno sempre manipolato il denaro, per questo…’ ‘… usurai… ‘. ‘Si sono sempre mossi nella finanza, hanno sempre avuto a che fare con i soldi…’, ‘… l’alta finanza è in mano loro…’, ‘… e sono legati alla massoneria…’; ‘… il nazismo…. il loro rancore…’. ‘Si sono sempre chiusi fra di loro… a Firenze non si riusciva ad entrare… e a conoscere… perché erano chiusi fra di loro…’ ‘Beh, sì, ma anche Gesù, in fin dei conti era ebreo’, ‘Eh sì, però era un ebreo altro, come io sono un fiorentino altro’ (… tanto è vero, sembra voler concludere, che poi è passato a fare il Dio dei cristiani!).
Le due signore sedute di fronte alla coppia tutta presa dal suo profondo scambio intellettuale ascoltano e non commentano. Mi risultano simpatiche. Forse non osano entrare in un terreno minato di cui non hanno esperienza, o, consapevoli di essere testimoni di una conversazione per luoghi comuni, scelgono il silenzio. Mi piace pensarla così.
I miei paccheri al tonno sono ormai freddi nel piatto. Punizione dall’Alto per la mia casherut troppo flessibile.
Ci viene in soccorso il gestore del ristorante cui chiedo un digestivo. Mi conosce bene, e mi porta il solito Calvados. Gli dico che mi sarebbe stato più utile un Maalox, e sorridendo mi verso il primo bicchiere e cerco di distrarmi rimirando l’armoniosa rotondità del calice, e il Calvados che lascia sulle pareti del bicchiere pregiatissime e persistenti catenelle. È il mio training autogeno.
Guardo il volto tirato di mia figlia che vorrebbe dire al tavolo vicino: ‘Se volete delucidazioni sugli ebrei, sono qui per darvele. Chiedete pure’. Mia moglie vorrebbe pregarli, invece, di cambiare argomento, ché ci rovinano la giornata. Io vorrei presentarmi e offire loro un tour guidato, gratuito, per il Ghetto, e spiegare loro la storia degli ebrei e del Ghetto e dell’antisemitismo. Ma la vita è troppo breve, e il fegato è già grosso di suo per altri motivi. In fin dei conti, poi, sono loro grato di averci almeno risparmiato i soliti giudizi perentori su Israele e i palestinesi.
Il gestore ci chiede se il pesce che abbiamo lasciato sul piatto sia un segnale di insoddisfazione. Gli spiego, a parte, il nostro disagio e perché avessi chiesto un Maalox. Riosservo i vicini di tavolo, i loro modi, ripenso al loro conversare fine e sciolto: è gente bene, gente colta, gente di buona società, che fa opinione nei salotti.
E ti chiedi per l’ennesima volta che cosa abbiano studiato a scuola queste persone, quale educazione umana e sociale abbiano ricevuto in famiglia, che cosa abbiano appreso dalla storia, chi frequentino giorno dopo giorno, con chi si confrontino. Che cosa passi davvero per la loro testa quando, sapendo che sei ebreo, ti salutano con il consueto ‘Piacere di conoscerla’. E non saprò mai se io sia troppo sospettoso o se sia solo stanco dell’ignoranza che mi circonda.
Ripenso alla mia indagine sull’antisemitismo. L’Italia non è la Francia, e non è la Polonia, e non è il Belgio, e non è neppure l’Inghilterra. Ma questa ‘cultura’ che si nutre di stereotipi, di certezze per sentito dire, di frasi fatte, è un cancro inestirpabile se non a costo di una rifondazione del pensiero, di una ricostruzione di questa civiltà che continua a vederci come l’altro che si appropria della sua ricchezza, che cospira in logge sotterranee, magari per impadronirsi del mondo.
Non rimane che versarsi un altro calice di Calvados.

Dario Calimani

(11 maggio 2021)