L’Italya e gli italyani
Germano Maifreda, autore di “Italya – Storie di ebrei, storia italiana, Laterza, Bari, 2021”, scrive che la maggior parte degli italiani ancor oggi non pensa alla lunga storia del proprio Paese (tra Medioevo e Rinascimento, Controriforma e Risorgimento) come comprensiva della storia degli ebrei. In effetti, c’è un vuoto, che l’autore provvede a colmare. È più facile essere al corrente degli eventi del periodo dell’emancipazione, del Risorgimento, ma del lunghissimo periodo precedente, si sa poco. Perspicuamente, l’autore fa riferimento ai rapporti delle Comunità Ebraiche con le autorità, un argomento che Hannah Arendt mise al centro delle sue teorizzazioni. Naturalmente, la materia si presterebbe a profonde riflessioni. Viene citato anche il rogo ad Ancona di 24 ‘marranos’ ordinato da Papa Paolo IV nel 1556, al quale si rispose col boicottaggio del porto. Si menzionano anche gli ebrei antisemiti, accostati agli omosessuali omofobi, una specie, la prima, che ha il vantaggio di non richiedere troppe ricerche per l’individuazione. Si cita anche l’imposizione agli ebrei romani, nel Seicento, di applicare lo ius commune anche alle dispute interne, abolendone così l’autonomia legale. Si citano anche fatti paradossali, come le celebrazioni degli ebrei in qualche parte della penisola, per la sconfitta di Napoleone, che pure aveva liberato gli ebrei ovunque, restituendo loro la capacità giuridica. La partenza delle truppe napoleoniche si era risolta un poco ovunque, tranne che nel Regno sabaudo, in atti di violenza anti ebraica. Da qui i timori di alcuni ebrei che vedevano nell’abbattimento delle mura del ghetto il rischio di essere alla mercé dei violenti. Il volume si inserisce felicemente nella scia di quei lavori che esaminano la permeabilità dei ghetti, che talvolta sfugge, quando invece era alquanto ovvio che non essendo il ghetto un’isola, ma tutt’al più uno scoglio minuto, non potesse che interagire con l’esterno. Lo studio della storia degli ebrei in questo libro ci ricorda come non si possa che studiare la nostra storia non separandola mai da quella italiana in generale. Dopo lo studio (e questo volume andrebbe studiato) bisognerebbe trovare le forze e, soprattutto, l’intelligenza, di aprirsi al dibattito, a meno che appaia tale lo scambio pubblico di pareri di soggetti che sono tutti d’accordo. Non solo: considerato lo stato deplorevole di tanti libri di testo, spesso una raccolta di pregiudizi, fake news e luoghi comuni, bisognerebbe saper leggere, ad esempio, questo libro, in modo serio. Che significa? Lo si legge in modo serio se non si fa bastare la lettura del testo, ma: a) si esaminano le note e b) sulla base delle note si cerca di reperire la letteratura ivi citata (libri e periodici). Certo, si potrà dire che queste sono indicazioni bizzarre, anche se è molto più bizzarro non capire quello che abbiamo dinanzi agli occhi, perché vi assicuro che questo è un fenomeno molto comune, ma che per quanto possibile andrebbe arginato. Ne discorro perché vi è un fermento di idee e di iniziative talvolta felici, talaltra meno: sarebbe il caso di allargare l’area di chi studia. Non è il libro ad essere nostro amico, bensì “i libri”. Al plurale.
Emanuele Calò, giurista
(11 maggio 2021)