Sensibilità e visione prospettica

Non è difficile individuare il vizio di fondo dello sketch psuedo-comico di Pio e Amedeo che tanta riprovazione e discussione ha suscitato sui media e soprattutto nell’ambiente ebraico. Le parole sono pietre e non bruscolini; sopratutto determinate parole hanno assunto (certo in modo improprio) precisi significati, e chi le usa intenzionalmente lo fa volendo esplicitamente comunicare e facendo propri quei significati. Quindi, anche a prescindere dalle intenzioni di fondo dei due comici, il loro scambio di battute era oggettivamente antisemita, dal momento che veicolava lo stereotipo negativo dell’ebreo avaro; anzi, di più: sottolineando il non cale riservato ad analoghi luoghi comuni nei confronti di genovesi e scozzesi, sottintendeva una presunta qualità di “intoccabili” rivestita dagli ebrei, alludendo quindi a un altro diffuso pregiudizio anti-ebraico, quello del controllo dei media e dell’opinione pubblica in mano ai “giudei”.
Al di là ciò, la vera questione mi pare un’altra. L’intenzione dichiarata dei due comici era quella di mettere in discussione il “politically correct” e i suoi abusi. Ottimo intento, soprattutto nei confronti dell’appiattimento stupido e ipocrita che il suo formalismo esteriore – oggi assurto a regola generale – comporta. Che cosa allora ha provocato il loro debordare dal piano della satira a quello del rozzo antisemitismo? Innanzitutto la scelta del tema: razzismo e antisemitismo sono due piaghe troppo reali e dolorosamente aperte per imbastire su di esse una polemica contro il politicamente corretto; la loro evocazione va comunque evitata perché al di là della correttezza/scorrettezza politica crea offese reali e diffuse ovunque. È poi mancato, a mio giudizio, il sottile ma netto distinguo tra la lecita e anche caustica critica a un atteggiamento assurdo (il politically correct, appunto) e il goffo sberleffo che finisce per tramutarsi nel suo opposto, cioè nell’offesa diretta e gratuita che sposa la visione del mondo tutta in bianco e in nero che vorrebbe contestare.
Eppure, sono proprio la capacità di distinguere, la visione prospettica, il saper cogliere la dimensione e la profondità storica, la sensibilità allo spessore morale e umano legato all’insieme sociale le condizioni che da un lato possono salvarci dal buonismo ipocrita e falso oggi tanto di moda e dall’altro si rivelano in grado di preservarci dall’atteggiamento offensivo che lede la dignità dell’altro, chiunque esso sia.
La Torah afferma proprio questo, quando comanda di rispettare e onorare lo straniero “perché anche voi siete stati stranieri in terra d’Egitto”: essa ci raccomanda consapevolezza storica (coscienza della nostra stessa storia) e insieme profondità di sguardo etico nei confronti di chi si trova in condizioni di “diversità” attraverso le quali noi stessi siamo passati. E anche quando prescrive di “amare per il tuo prossimo come per te stesso” fa appello alla medesima intelligenza/sensibilità di fondo: la visione di me stesso e dell’altro di fronte a me, nelle sue reali spesso difficili condizioni.
David Sorani

(11 maggio 2021)