I conflitti cambiano

Nel solito fiume di parole, iniziative, manifestazioni che si solleva per ogni cosa che coinvolge Israele (è persino stancante dire che si aspettano analoghe iniziative per il Darfour, lo Yemen, la Libia) mi pare che ci sia un pericoloso fraintendimento di fondo. È del tutto inutile approcciarsi al conflitto in corso come fosse un conflitto locale, magari interpretandolo con l’armamentario ideologico anni ’70, che già era logoro allora. Quando i conflitti durano decenni non restano sempre uguali, si stratificano nel tempo. Certo rimangono delle costanti ataviche, ma sopra esse si innestano nuovi argomenti, nuove strategie di propaganda, nuovi interessi. Sono anch’essi degli organismi viventi, capaci di adattarsi alla nuova cornice che i tempi offrono. Ciò a cui stiamo assistendo a Gaza e in Israele è una svolta identitaria che ha messo in definitiva crisi un modello di relazione con l’altro, erigendo steccati sempre più alti anche all’interno dei singoli Stati. L’antidoto sarebbero soluzioni politiche che vadano nella direzione diametralmente opposta, ma il disordine, le guerre, gli scontri violenti nelle singole città spingono le persone a costruire un altro pezzo di muro e ad affidarsi a chi promette legge e ordine per contrastare l’ «anarchia». A questo punto la maionese è impazzita. Prossimo fronte, la Francia, altro che problema israelo-palestinese.

Davide Assael