Shavuot e i frutti della terra

Shavuot è una ricorrenza con numerosi aspetti che determinano i vari nomi con cui viene identificato: oltre a Ḥag Shavu‘òth (Festa delle settimane); (Esodo: 34,22 e Deuteronomio: 16, 10) nello stesso Esodo (23,16) è chiamata “Festa della mietitura” (Ḥag ha-Katsir); ed ancora “Festa delle primizie”, Yom ha-Bikkurim; (Numeri 28, 26). La prima denominazione fa riferimento all’intervallo da Pesach, ma le due altre denominazioni sono più interessanti per capire la vita del Popolo d’ Israele nella sua terra. Mentre a Pesach comincia il periodo dell’Omer, cioè del “covone”, con riferimento al primo covone di cereale che veniva offerto al Santuario i nomi diversi di Shavuot fanno riferimento alla mietitura. Non c’è mai un’indicazione delle specie. L’indicazione dell’orzo o del frumento è frutto delle analisi dei traduttori e degli studiosi del testo.
Visto che l’orzo è il cereale più precoce è entrato nella tradizione che il “covone” (“’omer”) della prima offerta a Pesach fosse di questa specie, mentre Shavuot è caratterizzata da una pluralità di nomi: il testo dice letteralmente: la “festa della mietitura (letteralmente taglio) delle primizie che avrai “fatto” da ciò che avrai seminato nei campi, sarà festa del raccolto”.
Come l’offerta di un covone d’orzo (a Pesach) segnava l’inizio della stagione del raccolto, così l’offerta di un pane prodotto con il frumento appena raccolto ne segnava il termine. Questo non significa che Shavuot fosse soltanto una festa agricola, ma dimostra che il popolo, cui si rivolgeva Mosé, era una popolazione di agricoltori. Tuttavia è probabile che Shavuot abbia assorbito in sé festività più laiche senza particolari significati religiosi, ma legate alla stagione, alla gioia del raccolto e alla soddisfazione di portare “in cascina” il frutto di un anno di lavoro. Ricordo ancora, per averlo vissuto, il clima gioioso della trebbiatura, quando finalmente, con l’ultima lavorazione, il risultato del lavoro di un annata diventava prodotto disponibile e premiava le fatiche dell’anno trascorso. Oggi la meccanizzazione ha cambiato la procedura, la mietitrebbia svolge, con un solo operatore, il lavoro che veniva svolto, in più fasi, da oltre una decina di persone. Il risparmio di mano d’opera è grande, ma… si perde la festa!
È interessante notare che le tre grandi Feste di Pellegrinaggio sono distintamente associate a produzioni agricole: quelle erbacee Pesach con l’ ’omer (covone) di orzo, Shavuot per il frumento con il quale si produceva il pane e quelle degli alberi da frutto (Sukkot per olive e vite). Ai festeggiamenti per i raccolti stagionali, distinti per categorie, colture erbacee o colture arboree, vengono associati e/o sovrapposti altri significati di valore prettamente morale. La nascita del Popolo Ebraico con l’uscita dall’Egitto a Pesach, il dono della Torah a Shavuot e il ricordo della miracolosa sopravvivenza durante la traversata del deserto a Sukkot.
Si vede quindi che l’insegnamento di Mosé ha trasformato la semplice gioia per la raccolta dei prodotti agricoli in un sentimento più elevato. Il fatto che nei secoli il Popolo Ebraico sia vissuto lontano dalla sua Terra, perdendo ogni legame con l’agricoltura ha accentuato il carattere spirituale di quelle feste, ma non ne ha cancellato il significato agricolo, che a noi, oramai inurbati e alienati dalla terra appare lontano, quasi leggendario. Anche se continuiamo a godere dei frutti della terra, senza più coscienza della complessità della loro produzione e senza saper più rendere grazie al Signore per la loro nascita e la loro disponibilità.

Roberto Jona, agronomo