“Ebrei e arabi, convivenza
da recuperare:
ripartiamo dall’uso delle parole”
“Paura e diffidenza le tocco ogni giorno con mano. Ma sento al contrario anche una grande voglia di impegnarsi, in modo concreto, nell’unica direzione possibile: quella della coesistenza. Se c’è qualcosa che non possiamo permetterci il lusso di perdere è la speranza”.
Uki Maroshek Klarman dirige lo Adam Institute for Democracy and Peace di Gerusalemme, realtà d’eccellenza nella promozione di progetti interdisciplinari per favorire l’incontro e il confronto tra le diverse anime della società israeliana. Una società che le recenti tensioni, sfociate in città che della coesistenza sembravano un simbolo inviolabile, hanno mostrato sempre più lacerata e conflittuale.
“Appena pochi minuti fa – racconta a Pagine Ebraiche – ho concluso una call con due scuole. La frustrazione era palpabile: quello cui abbiamo assistito è, per chi si occupa di educazione, una sconfitta. Un campanello d’allarme che non giunge però inaspettato: i segnali, purtroppo, c’erano da tempo”. Superata la fase “frustrazione”, è seguita quella “rimbocchiamoci le maniche”. E così entrambe le scuole, una ebraica, l’altra araba, hanno provato ad immaginare i prossimi passi da compiere. “I più motivati sono proprio le e gli insegnanti: nessuno ha voglia di arrendersi a una spirale d’odio che rischia di vanificare anni di lavoro per conoscersi e soprattutto riconoscersi. Forse sarà banale, ma è dalla scuola che tutto deve ripartire. La mia opinione – afferma Klarman – è che serva un ripensamento totale”.
Una ripartenza nel segno di “un’educazione fermamente anti-razzista, non basata su astratti teoremi ma sulla pratica”. Quello che l’Adam Institute, fondato nel 1987 e vincitore in passato di alcuni prestigiosi riconoscimenti, si propone di fare ogni giorno. Diecimila i giovani coinvolti annualmente in incontri, attività, progetti. Spronati all’assunzione di responsabilità anche attraverso i 30 volumi finora pubblicati (sia in ebraico che arabo). Alcuni titoli: “L’ABC della democrazia: un programma educativo”, rivolto ai più piccoli, “Le parole contano: educazione alla libertà d’espressione”, per i ragazzi un po’ più grandi; e, per gli insegnanti, “Sulla via del dialogo: mettere in rete le scuole contro il razzismo”.
Libri e progetti sono orientati sul metodo “Betzavta” (“Insieme”) che, “basato su principi democratici, combina un apprendimento coinvolgente ed esperenziale radicato nella filosofia, nella sociologia, nella psicologia sociale ma anche nel divertimento”. Un’impostazione che ha retto anche alla dura prova della pandemia, trasmigrando per vari mesi su contenitori online molto frequentati. “Uno dei valori fondanti è l’insegnamento all’uso responsabile delle parole. Faccio un esempio: tra le attività di maggior successo ce n’è una che prevede la traduzione di testi della letteratura ebraica e araba. A tradurre i primi sono giovani arabi, mentre i secondi li diamo da leggere a giovani ebrei. Le parole, in questo caso, aiutano ad andare in profondità. A capire meglio – sottolinea – la visione e la prospettiva dell’Altro”.
Un concetto applicato in ogni campo, anche quello giornalistico: “Abbiamo appena concluso un programma triennale molto ben riuscito, con duecento partecipanti che si sono confrontati sull’importanza delle ‘giuste parole’ nel mondo dell’informazione. Un percorso, anche in questo caso, tra teoria e pratica”.
Klarman non nasconde la preoccupazione: “Israele ha sperimentato ogni genere di crisi. Ma una situazione del genere, almeno sul fronte interno, non l’avevo mai riscontrata. Anche ai tempi dell’Intifada il confronto non era stato semplice. Si respirava tensione. Ma la guerriglia per le strade non c’era”.
Un problema anche di estremismo: “Purtroppo, anche qui da noi, è stato dato troppo spazio a personalità che sull’odio lucrano. Un tempo non lontano l’idea di avere dei fan di un razzista come Kahane in Parlamento sarebbe stata ributtante e avrebbe portato tutti gli israeliani in piazza, a prescindere dalle simpatie politiche dei singoli. Oggi questo non avviene. Ed è inquietante, molto inquietante”.
Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked
(21 maggio 2021)