Uguaglianza
“Facciamo appello – nel mezzo dell’attacco che ci viene sferrato contro da mesi – ai cittadini arabi dello stato di Israele affinché mantengano la pace e partecipino alla costruzione dello stato sulla base della piena e uguale cittadinanza e della rappresentanza appropriata in tutte le sue istituzioni provvisorie e permanenti.” Queste parole, per chi non lo sapesse, sono tratte dalla dichiarazione d’indipendenza dello Stato di Israele (14 maggio 1948). Il momento non era certo meno grave di quello attuale, né il rifiuto da parte del mondo arabo era meno netto, anzi. Eppure si scelse una formula che dichiarava senza possibili ambiguità la natura democratica dello stato che si stava fondando; uno stato, si diceva poche righe più sopra, che “assicurerà completa uguaglianza di diritti sociali e politici a tutti i suoi abitanti senza distinzione di religione, razza o sesso, garantirà libertà di religione, di coscienza, di lingua, di istruzione e di cultura”.
Piena cittadinanza e rappresentanza in tutte le istituzioni ovviamente significa diritto di avere i propri partiti e i propri deputati, e di conseguenza diritto di partecipare a un’eventuale coalizione di governo secondo il libero gioco democratico delle maggioranze e minoranze come accade in qualunque repubblica parlamentare. È assai sconcertante leggere su queste colonne che l’ipotesi di un governo sostenuto da un partito arabo sarebbe stata “in contrasto con gli ideali che i padri del sionismo ci hanno da sempre insegnato”: dunque la dichiarazione d’indipendenza dello Stato di Israele sarebbe contraria agli ideali del sionismo? Francamente mi sembra un’affermazione paradossale.
Ancora più paradossale sarebbe se noi ebrei italiani nelle nostre riflessioni e nei nostri dibattiti negassimo per principio ai cittadini non ebrei dello stato di Israele, quell’uguaglianza e quella piena parità di diritti e doveri di cui giustamente godiamo in Italia e a cui giustamente non saremmo mai pronti a rinunciare.
Anna Segre
(21 maggio 2021)