Il futuro di Gaza, tra aiuti e il pericolo Hamas
Investire a Gaza senza passare dai terroristi di Hamas. Questo l’obiettivo dichiarato dell’amministrazione Biden, che, spiega il Corriere della Sera, vorrebbe puntare sul rilancio dell’Autorità nazionale palestinese e sul suo leader, assai poco popolare, Mahmoud Abbas, e portare finanziamenti a Gaza per rispondere alla crisi sanitaria nella Striscia, aggravatasi nel conflitto con Israele appena conclusosi. In questo tentativo di sostegno all’Anp – che non convince il Giornale – sarà impegnato il segretario di Stato Usa Antony Blinken, che arriverà nell’area mercoledì. Intanto ad arrivare sono stati i primi aiuti a Gaza tramite il valico Kerem Shalom, segnala La Stampa. Nell’enclave, ma non solo, i piani americani sembrano scontrarsi con una popolarità di Hamas che appare in crescita. Lo testimoniano gli articoli di Repubblica che raccontano da una parte la cacciata del Mufti di Gerusalemme, lo sceicco Mohammed Hussein, dalla Moschea di Al Aqsa dai fedeli – tra bandiere e slogan di Hamas – che lo contestavano per la sua vicinanza ad Abu Mazen; e dall’altra, la riemersione di Yahiha Sinwar, capo politico del gruppo del terrore che Israele ha cercato di eliminare nell’ultima operazione. La sua apparizione in pubblico è un messaggio di forza, racconta Repubblica, che si sofferma anche sull’altro gruppo del terrore di Gaza, Jihad islamica, spiegando come sia sostenuta dai soldi iraniani. Per il direttore del quotidiano Maurizio Molinari, che fa un quadro del post conflitto tra Israele e Hamas, un’opzione per togliere consensi ai terroristi e rilanciare Gaza potrebbe essere un ampio sostegno al piano americano di rilancio dell’Anp nel segno degli Accordi di Abramo. Con un ruolo da giocare anche per l’Europa. “A rendere ancora più delicata la posizione dell’Ue – scrive Molinari – ci sono le violente dimostrazioni avvenute nell’ultima settimana in Germania, Gran Bretagna, Francia ed anche a Milano dove l’ostilità verso Israele è spesso degenerata in avversione nei confronti degli ebrei”. Un altro caso di antisemitismo è segnalato in una breve dal Fatto Quotidiano in Germania, mentre Libero riporta di una manifestazione pro-palestinese a Milano.
Per l’analista militare di Yedioth Ahronot Ron Ben-Yishai, intervistato da Avvenire, la strada dell’allargamento degli accordi di Abramo è quella giusta. Ma per la ricostruzione di Gaza “è anche necessario un accurato monitoraggio da parte delle Nazioni Unite e della Nato: a loro dovrebbe spettare il compito di ispezionare, utilizzando tecnologie all’avanguardia, l’ingresso dei beni di prima necessità, e di controllare nello stesso tempo tutti i passaggi dei finanziamenti che provengono dall’Iran, dalla Turchia e, primo tra tutti, dal Qatar. Solo quando tutto il denaro che viene erogato dai Fratelli musulmani verrà impiegato per la costruzione di case e strade, al posto di tunnel segreti, armi e arsenali militari, allora sarà possibile riaprire i confini dell’enclave palestinese e, di conseguenza, il dialogo tra le due parti”.
Prospettive di pace e non. “Sono sorpreso da tutta la gente che ha preso parte alla manifestazione. La sensazione era quella di essere rimasti in pochi, deboli e piccoli. Invece guardi questa bellissima folla. Sente l’empatia e il supporto?”, così David Grossman, intervistato da La Stampa a margine di una manifestazione organizzata a Tel Aviv per la pace. Lo scrittore israeliano parla di convivenza e collaborazione necessarie tra ebrei e arabi. L’Espresso invece presenta un’analisi di Alberto Stabile molto orientata contro l’operazione israeliana a Gaza e, parlando delle vittime civili palestinesi, dimentica di sottolineare come proprio i civili siano usati da scudi umani da Hamas. Il settimanale propone, oltre alla traduzione dal Guardian di un testo della scrittrice palestinese Mariam Barghouti, una riflessione di Donatella Di Cesare che propone di superare “la logica degli stati nazionali” rispetto al conflitto tra israeliani e palestinesi. Sul Messaggero, Alessandro Orsini analizza il riavvicinamento tra Arabia Saudita e Iran. Ma una delle sue premesse è sconcertante: “Gli unici Paesi del Medio Oriente, che fronteggiano Israele per amore dei palestinesi, sono Paesi non arabi: la Turchia e l’Iran”. Sarebbe amore finanziare i gruppi terroristici di Hamas e Jihad islamica?
Caso Copasir. Continua la sfida tra Lega e Fratelli d’Italia sulla nomina del prossimo presidente del Comitato di controllo per la sicurezza (Copasir) che per legge deve andare all’opposizione. Fratelli d’Italia ha come candidato Adolfo Urso, oggi vicepresidente del Comitato, ma la Lega, scrive il Corriere, è contraria perché lo considera “un amico dell’Iran e nemico di Israele”. Questo perché Urso ha fondato una società che investa anche in Iran. Il Corriere riporta anche la replica di FdI per cui “Urso non può essere considerato ‘nemico di Israele’, visto che fu il primo esponente della destra ad essere ricevuto da Shimon Peres, Sharon, Olmert, e ad aprire la strada ad An al rapporto con Israele. Anche oggi i rapporti con la comunità ebraica, assicurano, sono ottimi”.
La sfida ad Orbán. “Riporterò la libertà in Ungheria dopo il buio di Orbán”, così il sindaco di Budapest Gergely Karácsony, intervistato da Repubblica, si presenta per la prossima sfida alle politiche del 2022 in Ungheria. Prima di sfidare l’attuale premier ungherese, Karácsony dovrà prima vincere le primarie dell’opposizione. Nei sondaggi, è strafavorito. E nell’intervista lui è già proiettato al 2022. “Orbán – afferma – ha creato un clima da guerra interna e a livello internazionale. Ormai sembra che sia sempre stato così, ma non è vero. La maggioranza degli ungheresi vuole normalità e decenza civile da europei. Ritengo possibile ricreare una Ungheria unita”.
Daniel Reichel