Controvento – Moduli e privacy
Trovandomi in Svizzera, ho dovuto compilare il dPLF – digital passenger locator form – il nuovo documento digitale richiesto da oggi per entrare in Italia dall’estero.
Ci ho messo una buona mezz’ora per la mole delle informazioni richieste e alcune incongruenze. Per esempio è necessario indicare il secondo numero di telefono, campo obbligatorio. E chi non ce l’ha? Dopo vari tentativi, ho inserito per due volte lo stesso numero, ed è stato accettato.
Ma al di là dell’incombenza in sé, mi è parsa una misura preoccupante per la nostra libertà, una forma di controllo alla “1984”, il profetico “Big Brother is watching you” di George Orwell. Mi sono vaccinata con entusiasmo, non sono una cospirazionista, non credo alle potenze occulte che ci manipolano, ai complotti di entità oscure che vogliono prendere il controllo del mondo. E sono convinta che sia necessaria qualche forma di tracciamento per evitare un nuovo picco del Covid, soprattutto in periodo di vacanze estive e di rinato turismo internazionale. Infatti ho scaricato, appena sono uscite, l’app Immuni e anche la corrispondente SwissCovid, per i periodi in cui soggiorno in Svizzera. Ma queste app, che sono state studiate bene, garantiscono l’anonimato, e le informazioni rimangono sul telefono dell’utente, salvo nel caso in cui non sia necessario tracciare le persone con cui ha avuto contatti, se si dovesse palesare la malattia.
Il dPLF invece, che forse andrebbe definito dPCL – passenger control form – va compilato online, fornendo il numero di targa, se si viaggia in macchina, l’indirizzo di residenza e quello di destinazione, l’orario di partenza e di arrivo previsto e anche eventuali tappe intermedie – e se si cambia itinerario o si è vittime di qualche contrattempo che provoca un cambiamento di programma? – il numero della carta di identità, i membri del proprio nucleo famigliare, se ci accompagnano, il proprio indirizzo email e il numero di telefono e un contatto telefonico in caso di emergenza… Tutte queste informazioni vengono poi spedite a un cervellone, non si sa dove, che ci restituisce il formulario compilato da stampare e portarsi dietro, con il codice QR, senza il quale teoricamente almeno non è possibile varcare la frontiera, imbarcarsi su un treno, su un autobus, su un aereo o su una nave. L’autocertificazione precedentemente richiesta era un modulo che si scaricava da Internet e si compilava, con l’obbligo di tenerlo con sé ed esibirlo in caso di controllo – la mia esperienza e quella di parecchi amici è che i controlli fossero sporadici. E comunque, come per tutti i documenti cartacei, si suppone che dopo un po’ finissero nel cestino… Stavolta invece è evidente che tutto finisce nell’insaziabile bocca di un supercomputer, che potrà verificare, anche a distanza di anni, i nostri movimenti, i nostri soggiorni, le nostre scappatelle amorose, i nostri viaggi di piacere o di lavoro. È una necessità sanitaria, o uno strumento – potenzialmente pericoloso – di controllo della popolazione, che in futuro potrebbe cadere in mano di parti politiche estremiste, di investigatori privati, dei servizi segreti, di tecnici capaci di hackerare il sistema, o più semplicemente di qualcuno che fa ricerche su di noi?
Basta alzare lo sguardo per vedere il numero di telecamere che ci spiano in ogni momento. I nostri telefoni cellulari, grazie al sistema di localizzazione, di pagamento digitale, dei cookies di navigazione, sono diventati una fonte di informazioni accessibile a chiunque sulla nostra vita privata, i nostri gusti, i nostri acquisti, le nostre ricerche. Ora arriva anche il Big Brother che ingoia tutte le informazioni sui nostri spostamenti da e per l’estero. Si tratta, va chiarito subito, di un formulario richiesto dalla Comunità Europea al quale l’Italia ha aderito con grande sollecitudine. Mi chiedo se, prima di farlo entrare in vigore, non sarebbe stato giusto aprire un pubblico dibattito, come si sta facendo in Svizzera, che non ha ancora aderito. Comprendere qual è la “corazza” normativa che garantirà la riservatezza dei nostri dati. A chi andranno in mano? Che cosa succederà nel futuro? Con che criteri saranno catalogati? Quali pericoli presentano per la nostra privacy?
Sì è molto discusso sul cosiddetto “passaporto vaccinale” che garantirebbe libertà di movimento ai vaccinati. Pare non sia stato ancora approvato per le proteste di chi rifiuta il vaccino ma si ritiene discriminato dal fatto di non poter godere della libera circolazione concessa agli altri. Ma il passaporto, magari unito al tampone, mi sembra darebbe maggiori garanzie sanitarie del dPLF senza comportarne i rischi di violazione della privacy.
Forse dovremmo chiederci seriamente a quanta libertà siamo disposti a rinunciare per i benefici della sicurezza, sia essa sanitaria o di altro tipo. Per chi come me ha vissuto una lunga vita sentendosi libera, il dPFL è una seccatura a livello psicologico. Ma i nostri figli e i nostri nipoti, in che mondo vivranno? E se non c’è il rischio che, come nel bellissimo film “Truman show”, un giorno scopriranno di non vivere la realtà, ma un mondo fasullo come un set televisivo, manipolati, fin dalla nascita, da un deus ex-machina di cui nemmeno sospettano l’esistenza?
Viviana Kasam