Illusioni e realtà

Bisognerà pur prendere atto, prima o poi, che il profluvio di dichiarazioni e prese di posizione da parte dei molti frequentatori dei social network (io tra questi, per capirci: nessun snobismo di circostanza, quindi, anche se a mia parziale “discolpa” posso dire solo che ho parlato esclusivamente con i miei articoli, risparmiando post, thread, tweet e cos’altro), nella sua cacofonica ripetitività, è parte integrante dei conflitti in corso. Anzi, spesso si sostituisce o integra aspetti di essi: un conflitto, armato o meno che sia, si compone di molti elementi, solo in parte riconducibili a fatti ed atti ma, sempre più spesso – invece – ascrivibile alla sfera delle opinioni collettive. Ossia, dell’immaginazione in via di formazione, svolgimento e condivisione. Dovremmo forse prendere atto che nell’età della modernità digitale e virale, dove tutto “scorre” come se fosse un fiume in piena, la guerra delle parole, e con essa delle immagini e delle rappresentazioni, non è meno importante di quella dei gesti materiali, quelli che si misurano in concrete, immediate ma anche durevoli ricadute. Poiché a dare un senso compiuto a questi ultimi (quelli che noi continuiamo ad appellare con il nome di “fatti”) è il significato simbolico che, attraverso l’opinione pubblica, si conferisce ad essi. Nessun elogio del relativismo, beninteso. Il fatto che ci sia una vera e propria epidemia di affermazioni, e contro-affermazioni, non fa sì che le une equivalgano alle altre. Il problema, al solito, non è quello del giudizio etico (come invece affermano i fondamentalisti di qualsivoglia risma) ma, piuttosto, di comprensione delle meccaniche attraverso le quali l’attenzione collettiva viene catalizzata e, quindi, indirizzata. Le vicende in corso tra Hamas e Gerusalemme, nuovo episodio di un libro oramai vetusto, composto di pagine troppo consunte da potere essere rigirate senza sporcarsene le dita, si inscrive a pieno titolo dentro questa partitura. Non è un caso, quindi, se tanto più in questa circostanza, le tifoserie abbiano dato fiato ai polmoni. E non solo a questi. Ovvero, come dire Dante, riferendosi al Barbariccia, in procinto di fungere da sguaiato capo di una massa di “poveri diavoli”, i Malebranche: «Ed elli avea del cul fatto trombetta» (Inferno, XXI, v. 139). A leggere le demenzialità che circolano nel web e, soprattutto, sui social network, il riscontro di una collettiva perdita di senso del pudore e, con esso, di autocontrollo, parrebbe infatti avere riscontri pressoché inesauribili. Non è solo il confronto impudico tra opposte tifoserie (chi tifa ritiene di capire tutto – quando, invece, crede in qualcosa, a prescindere dal qualsiasi riscontro di merito), che sembrano quasi annullarsi vicendevolmente nel furore della loro iracondia, ma anche – e soprattutto – la perdita totale di residua ragionevolezza. Per parte nostra, nessuna equidistanza, beninteso. Non ce n’è bisogno. Il motto latino «in medio stat virtus» (la virtù sta nel mezzo), non è per nulla detto che raccolga le ragioni di opposti contendenti. Il punto, in fondo, non è quasi mai questo. Il vero fulcro, semmai, è non solo la costruzione di una robusta concatenazione logica rispetto alle proprie ragioni ma anche, e soprattutto, alla loro verifica e alla prova delle altrui motivazioni. Poiché non esiste nessun conflitto a somma zero, tale in quanto l’uno non avrebbe ragione alcuna, mentre l’altro – invece – le raccoglierebbe tutte in se stesso.
Nel passato, come anche nel presente, è semmai conflitto ciò che contrappone non due totalità, vicendevolmente alternative, bensì due interessi contrapposti rispetto alla medesima posta in gioco. Per capirci, nel caso israelo-palestinese, la questione non è la terra in quanto tale bensì la legittimazione ad esistere. Per la controparte israeliana, si tratta di questione di vita o di morte. Non sussistono alternative: chi bene conosce Israele, plausibilmente non avendoci fatto un solo soggiorno turistico, sa che le cose sono disposte in tale senso. Il lascito del «settimo milione» (leggere e studiare per capire, senza mettersi da subito a piangere sulla presunta incomprensibilità dell’altrui scrittura), gli scampati dall’annientamento totale, è essenzialmente questo. Giusto o sbagliato che sia, poco importa. Anche per questo, al netto delle motivazioni manifeste, costituisce il conflitto è irrisolvibile con gli strumenti tradizionali della politica e della diplomazia. Entrambe le comunità nazionali sono il prodotto della modernità, politica, culturale e civile. Chi prima l’ha riconosciuto per se stesso, ossia il sionismo, ha raggiunto le mete che si era prefisso. La controparte, invece, è rimasta a navigare tra sogni – che nei fatti si trasformano in incubi – di improbabili rivalse. Rischiando, una volta per sempre, di perdere l’ultimo treno della storia. Non si tratta di una morale e, men che meno, di un viatico. È un riscontro di fatto. La qual cosa, a conti fatti, è peggio di qualsivoglia giudizio di valore. I fatti, come avrebbe detto qualcuno, prima o poi si impongono sempre con la loro dura oggettività. Al pari del muro contro il quale si rischia di andare a sbattere.

Claudio Vercelli