Rischio balcanizzazione

Vivere a Ramat Gan questa nuova guerra, dichiarata a Israele da Hamas per motivi tangibili ma circoscritti e pretestuosi, mi ha gettato in una profonda inquietudine, legata all’immediato presente e proiettata sul futuro vicino. Genera ansia il suono prolungato e penetrante della sirena, seguito a ruota dalle esplosioni dei razzi intercettati da Kippat Barzel. Genera ansia la corsa al vano scale e al rifugio sotterraneo. Genera ansia soprattutto il pensiero dei miei cari, anch’essi in pericolo a poche centinaia di metri di distanza.
Il conflitto, per fortuna bloccato da un sospirato e speriamo non effimero cessate il fuoco, minacciava di protrarsi a lungo. Era chiaro che Israele non poteva sopportare il dilatarsi e il persistere di quest’ansia nell’intera sua popolazione, i morti e i feriti causati da ordigni scagliati con l’obiettivo terroristico di provocare il maggior numero possibile di vittime, la minaccia costante ai suoi abitanti e al suo territorio. È naturale e sacrosanto che abbia impiegato il suo inviolabile diritto/dovere di difesa (difesa di tutti gli israeliani, prima ancora che del suo ruolo di Stato sovrano) per infliggere a un nemico che bersaglia deliberatamente i civili innocenti una sconfitta pesante, stanandolo dai suoi rifugi e dalle sue postazioni a Gaza.
Era altrettanto chiaro che Hamas (e con Hamas la Jihad Islamica che la affiancava in questo ennesimo tentativo di “dare fuoco all’entità sionista”) non avrebbe sospeso dopo pochi giorni l’inferno che ha voluto scatenare. Anche perché, come emerge sempre più chiaramente dallo sviluppo degli eventi, il suo disegno era (e forse è ancora) quello di un inferno interno allo stesso Stato di Israele.
Ecco, è questo il pericolo non nuovo ma emergente e mai così forte seminato dalla guerra appena conclusa: quello della rottura degli equilibri interni tra la popolazione ebraica e quella arabo-palestinese. Se, come pare di poter cogliere da episodi ricorrenti in queste ore, l’accordo tacito e sottotraccia che vigeva tra componenti diverse ma vicine e pronte a collaborare della popolazione israeliana lascia il posto alla conflittualità, addirittura all’odio etnico e alla violenza, allora davvero il rischio per l’unità e la saldezza del paese si fa grosso. Scene come quella di Lod, con il Beit ha Kenesset incendiato da un gruppo di arabi a evocare la scena di un pogrom; scene come quella di Bat Yam, con energumeni ebrei scatenati nella vandalizzazione di una gelateria araba; episodi analoghi e contrapposti a Giaffa, a Tiberiade: tutto ciò oggi ci sconvolge, ci angoscia se rivolgiamo il pensiero al futuro.
È su un meccanismo di possibile disgregazione interna, su una lotta inter-etnica che Hamas e Jihad Islamica contano, al di là di ogni sospensione delle ostilità, nella loro lotta contro Israele. Che la saggezza di ebrei ed arabi di Israele allontani il pericolo di una tragica balcanizzazione.
David Sorani

(25 maggio 2021)