Il Premio Exodus alla Presidente UCEI
“Voce di Memoria, dialogo e cultura”

“In riconoscimento del profuso impegno nell’attività di promozione delle tradizioni e dei beni culturali ebraici e la strenua difesa della Memoria della Shoah. E dell’impegno a far progredire la cultura del dialogo, del rispetto, della fratellanza tra i popoli”.
È la motivazione che ha determinato il conferimento del Premio Exodus – che da oltre vent’anni celebra il ruolo della popolazione della Spezia nelle vicende dell’Aliyah Bet, l’emigrazione clandestina dalle coste d’Europa verso il nascente Stato d’Israele in cui il Comune ligure si distinse a tal punto da meritarsi la fama di “Porta di Sion” – alla Presidente UCEI Noemi Di Segni. 
“Sorpresa e commozione” gli stati d’animo espressi al sindaco Pierluigi Peracchini e al giornalista Marco Ferrari, ideatore di un riconoscimento che in quest’ultima edizione ha voluto tributare un particolare omaggio alla memoria del regista Daniele Tommaso, da poco scomparso, per il suo film “Terra Promessa”. Una menzione speciale per celebrare l’alto valore di un lavoro d’indagine accurato e al tempo stesso emozionante. “Una testimonianza che è anche un atto di passione” ha sottolineato la moglie Letizia Monti nel corso della cerimonia di premiazione svoltasi ieri online. “Oggi – ha detto Peracchini -riabbracciamo idealmente chi partì allora e ricordiamo il nostro legame indissolubile con le comunità ebraiche italiane. La fratellanza nata in quel frangente dovrebbe accompagnare, in ogni momento, l’umanità”. Di Segni ha voluto dedicare il premio “a chi ho conosciuto attraverso racconti di famiglia, pagine dei libri di storia e documenti, a che si è prodigato per la salvezza altrui, fisica e spirituale e a tutti coloro che hanno saputo diffondere i valori della solidarietà e dell’amicizia tra i popoli, proseguendo l’agire illuminato di quei cittadini spezzini che subito dopo la guerra scelsero di soccorrere e sostenere i superstiti della Shoah”. 

(Nell’immagine un frammento dal film “Terra Promessa” di Daniele Tommaso)

Di seguito l’intervento della Presidente Di Segni:

Ricevere oggi questo riconoscimento è un grande onore per il quale vi ringrazio e non posso che apprestarmi ad agire da tramite per attribuirlo idealmente a chi ho conosciuto attraverso racconti di famiglia, documenti e pagine di Storia. Che si è prodigato per la salvezza altrui, fisica e spirituale. È per conto loro che sono qui presente.
Proprio l’epica e drammatica esperienza di Exodus, e delle altre due navi, la Fede e il Fenice, ci insegna che nei momenti più difficili è possibile e anzi ancor più necessario coltivare umanità, solidarietà, amicizia verso l’Altro.
Quei profughi ebrei, nostri genitori, nonni e bisnonni (compresi i miei che partirono invece da Bari), che avevano vissuto sulla loro pelle la più grande tragedia della storia dell’umanità, furono aiutati da una popolazione profondamente colpita dalla guerra, in una città devastata dall’occupazione nazista e dai bombardamenti. Una popolazione stremata, dunque, che però non si voltò dall’altra parte, ma trovò la forza di offrire aiuto morale e materiale, amicizia, conforto. Questo aiuto lo hanno ricevuto anche i miei nonni, mio bisnonno e mio papà con i suoi zii. Fa parte dei racconti tramandati nei racconti di famiglia. La nave, il viaggio, il campo di Atlit. Fa parte dei racconti che accompagnavano quelli della salvezza miracolosa dalle persecuzioni. E così questa storia ha fatto parte anche dei miei studi a scuola, in Israele negli anni ’70. Un mito che viene tramandato ai giovani per capire che lo stato in cui sono cresciuti non è sempre esistito ed è il risultato di una somma di miracoli e impegno di solidarietà umana. Rara.
Ma questa specifica pagina di dedizione italiana non è però conosciuta. né a livello italiano, ne internazionale e purtroppo neanche in Israele. E invece va raccontata. Scoperta e raccontata. Sono tre anni, dal ’45 al ’48, che rappresentano un’epoca intera. Anni che hanno anche visto il nuovo imprinting dello stato repubblicano che si avviava. Non senza difficoltà.
Sia perché di segno opposto a quanto avvenuto per volontà e radicamento del regime fascista, nelle istituzioni e negli atteggiamenti della popolazione civile fino al 1945; a dimostrazione che c’era un’Italia che riusciva a resistere, ad organizzarsi, ad esprimere valori e non disvalori.
Sia per chiarire responsabilità nazionali di chi ha bloccato con assurde considerazioni l’arrivo dei profughi superstiti della Shoah nell’allora Palestina mandataria (mi riferisco all’Inghilterra ricordata in Europa per il contributo alla liberazione con altri paesi del Commonwealth) e, al contrario, evidenziare – doverosamente – i meriti di chi ha favorito questo arrivo, con una sorta di ribaltamento di ruoli rispetto a quanto accadeva per la liberazione dell’Europa dal nazifascismo.
Quelle navi, cariche di migliaia di profughi, divennero il simbolo dell’Alyah Bet, e più in generale del diritto del popolo ebraico ad avere, dopo tante sofferenze, una propria terra, una propria casa. Un sogno che divenne realtà poco dopo, con la nascita dello Stato d’Israele, il 14 maggio 1948.
Terzo: che queste pagine diventino un punto di riferimento per dettare l’approccio istituzionale alla storia che si sta scrivendo oggi in Italia e in Europa con riguardo ai complessi temi dell’immigrazione, accoglienza ed integrazione.
Mi soffermo in particolare sul primo punto. Su quello che non si ricorda essere stato il fascismo in Italia, per la persecuzione dei cittadini italiani di fede (ossia “razza”) ebraica come si è manifestata chiaramente dalle prime decretazioni del ’38 ma anche per l’Italia intera e per la sua popolazione e territorio, trascinata in una guerra a fianco alla causa nazista.
L’Italia non lo ha voluto comprendere e fare i conti – allora nel dopoguerra nella frenesia di riprendere la vita, la stabilità e il rilancio, per gli assetti politici che si sono affermati nei decenni successivi, per l’illusione che ciò che non si vede ed è taciuto semplicemente non esiste più. Invece così non è perché quel latente male non sradicato e non riconosciuto è rimasto presente e oggi riemerso con forza e prepotenza. Con la presenza di gruppi di estrema destra e squadrismi, con manifestazioni nostalgiche verso ideologie fatte di simboli e concetti traslati nel tempo odierno, con la legittimazione politica di frange estreme. Con i “però” di quanto monumentalmente costruito; Cosa si può e si deve fare oggi?
Imparare, sapere conoscere il ventennio fascista. Come è intervenuto per abolire diritti e libertà per tutti gli italiani e poi per gli ebrei.
Varare programmi di conoscenza, cultura, educazione e convivenza. A partire dal primo mese di vita e specialmente nelle scuole.
Rafforzare normativa penale. Non solo apologia del fascismo per la ricostituzione del partito fascista ma preoccupazione per la violenza che sprigionano queste esternazioni. Il legislatore deve preoccuparsi dell’odio che dilaga.
Inquadrare nel modo corretto le libertà costituzionali – libertà di pensiero, di manifestazione, di manifestazione del pensiero – usarle per convivere e non abusarle per prevaricare, per generare odio e violenza.
Per quello che viviamo ogni giorno il fascismo in Italia ancora esiste, accompagnato da altre forme di radicalizzazione e odio e concorrendo all’incremento di un odio antisemita che viaggia sulla rete alla velocità della luce.
Ricordiamo in questa cerimonia quanto avvenuto dopo la guerra, ma non si può dimenticare quello che è stato il prima.
E proprio perché oggi condivido questo momento con il parallelo riconoscimento assegnato al film di Daniele Tommaso “La Terra promessa”, e ricordiamo il contributo dell’Alyah Bet alla nascita e avvio dello Stato ebraico nato 73 anni fa, non posso esimermi da una doverosa riflessione su quanto accade oggi, ora e adesso rispetto al riconoscimento di Israele.
Israele è oggi un faro di democrazia e avanguardia in ogni campo, sorretta dal sapere millenario che i suoi abitanti hanno voluto tramandare, sviluppare e maturare per il bene comune.
Certamente – come per tutti i Paesi democratici – ci sono sfide di resistenza, di tutela dei valori e di cambiamenti che i tempi impongono e la convivenza – in ogni parte di Israele e con i popoli confinanti è una di queste sfide. Ma le fondamenta non possono essere messe in discussione e devono restare salde – Israele esiste, fa parte di questo mondo, ha diritto di difendersi.
Il mare come ben consce la città di La Spezia non è un confine. Non è lo è parimenti per Israele. E tutto ciò che accade lì – il bene e il male – viene portato dalle onde altrove e anche qui.
I valori che difende Israele sono un bene prezioso anche per il resto del mondo, le minacce a questi valori e libertà lo sono parimenti. L’odio infiammato dalla propaganda raggiunge le nostre rive ed è diventato un’onda difficile da fronteggiare. Per poterlo fare occorre, ancora una volta che non restiamo soli. Occorre lucidità, intelligenza, lungimiranza, cooperazione tra forze che mettono i valori al centro dell’attenzione italiana ed europea. Questo è l’impegno che dimostra oggi la Città di La Spezia con le sue iniziative e capacità di fare memoria. Fare memoria oggi della Shoah significa avere coerenza. Di non appiattirla solo sui crimini nazisti e collocarla geograficamente solo nel campo di Auschwitz. C’è Shoah anche in Italia e in Italia c’è il dopo Shoah che fa parte di una corretta narrazione. Noi oggi viviamo in una situazione di incertezza e precarietà e questa condizione statuisce il cambiamento nelle nostre società. Certo chi partiva per la terra promessa i quegli anni di incertezze ne aveva ancor più. Si lasciava il noto per l’ignoto, la disillusione per la speranza, radici passate troncate per affondarne nuove e per noi sarà sempre impossibile comprendere quanta forza di volontà hanno avuto questi Maapilim (parola dedicata nel dizionario a questa specifica fase e persone) per affrontare le intemperie che li attendevano. Ma se le certezze delle persecuzioni passate diventano oggi punti interrogativi di negazionisti come si fa ritrovare la forza? Ripeto ancora una volta – da soli non si può e serve la rete della cooperazione.
Il popolo d’Israele e La Spezia sono uniti dal passato, guardano al futuro insieme, anche forti delle tante iniziative organizzate insieme in questi anni, con l’UCEI e le Comunità ebraiche e con le Autorità e Istituzioni israeliane; e ci auguriamo che queste relazioni possano sempre più crescere e fortificarsi.
Vi saluto con sincera gratitudine.

Noemi Di Segni, Presidente Unione Comunità Ebraiche Italiane