“Noi” a Tel Aviv
“Anu” (Noi) è probabilmente il museo con il più breve nome del mondo; certo è uno dei musei con il contenuto più vario, ricco e complesso. L’importante “Beit ha Tefutzot” dell’Università di Tel Aviv, sino a poco fa noto come “Museo della Diaspora” ha mutato non solo il nome in modo quanto mai significativo, divenendo “Museo del Popolo Ebraico”; ha di fatto cambiato radicalmente struttura e carattere. Se dovessimo indicare un criterio ispiratore, una filosofia del nuovo allestimento, potremmo dire “ricerca delle proprie radici ebraiche” – anche le più diverse e lontane tra loro, senza nulla escludere; mentre il Beit ha Tefutzot era appunto una rassegna – certo avvincente e coinvolta – di ciò che era stata la Diaspora, vista quasi come il nobile passato rispetto alla nuova condizione ebraica israeliana.
Oggi il tema di fondo è invece quello dell’identità ebraica (vasta, profonda, contraddittoria, talvolta sfuggente, sempre complicata, mai banale) coniugata attraverso la dimensione molteplice della contemporaneità, attraverso i ramificati sentieri della storia, attraverso i suoi luoghi metaforici e reali.
E poiché il concetto base è “Zehut” – identità, e non più “Galut” – diaspora/esilio, tutta la visita è concepita come un viaggio appassionante alla ricerca delle mille dimensioni dell’ebraismo. Ha quindi un senso cominciare dal terzo piano, dove la domanda di partenza è: “cosa significa essere ebreo oggi?”, e dove la risposta prende inizialmente la forma di tante persone diversissime tra loro (osservanti e non osservanti) che a grandezza naturale in filmati pre-registrati ci illustrano la propria condizione ebraica e il proprio modo di viverla. L’itinerario continua con i vari raggruppamenti dell’ebraismo di oggi (le diverse coniugazioni e denominazioni di ortodossi, conservative, reformed-liberal), per poi percorrere i modi inconfondibili (e difficilmente definibili) con cui lo spirito ebraico ha vissuto/vive il rapporto con le varie arti: dal teatro al cinema, dalla danza alla pittura, dalla letteratura alla musica e – perché no? – anche la cucina. Certo, nel mare magnum del contributo ebraico alla cultura, il rischio di una certa genericità, di evidenti omissioni, di banali enumerazioni è dietro l’angolo, e talvolta – pur nel vortice di tante originali sollecitazioni – il visitatore sconcertato si trova davanti all’ovvio.
Il secondo piano si avventura sulle strade della storia, introdotto da un semplice ma geniale cartoon che ad uso di ragazzi e non solo ripercorre sinteticamente (e certo semplifica) le vicende ebraiche riannodandole al contesto non ebraico. Originali e utili, dopo la zona dedicata all’antichità, i due percorsi paralleli che illustrano caratteri e personaggi del mondo ashkenazita e di quello sefardita, visti come due rami certo diversi ma non poi così lontani tra loro, ricchi di fiori culturali, umani, sociali. Particolare rilievo è dato alla crescita e agli sviluppi dell’ebraismo americano, dalle sue radici spesso est-europee trapiantate nella New York di fine Ottocento – inizio Novecento sino ai suoi variegati frutti negli USA anni Duemila. Interi mondi fatti di appartenenza, passione, difficoltà, bellezza rivivono in tante affascinanti foto dell’epoca, in vecchi film che ci ripropongono la società yiddish trasferita coi suoi ruoli e la sua lingua sulle rive dell’Hudson e in altre metropoli statunitensi.
Il primo piano è forse quello che più da vicino ricorda il modello-diaspora del precedente museo, con le sue numerose e bellissime ricostruzioni in scala ridotta di Baté ha Kenesset in giro per il mondo. E’ la parte più nota e già vista, ma sempre accurata e affascinante, di tutto il viaggio. La sua logica conclusione, in fondo, dopo che il visitatore – ebreo o non ebreo – si è “impadronito” dei tanti significati presenti e passati dell’essere ebreo. Ma dietro ai luoghi monumentali della preghiera e della celebrazione si apre una nicchia sui luoghi metaforici dell’ironia, della satira ebraiche: lampi di Witz contemporaneo che continuano a rammentarci l’immediatezza perenne del nostro humour.
Durante tutto il percorso la curiosità del visitatore ebreo italiano cerca inevitabilmente di catturare i riferimenti all’ebraismo del nostro paese. E qui purtroppo si colgono importanti assenze. La nostra è ed è sempre stata una comunità poco numerosa e non può certo dirsi una grande corrente del mondo ebraico. Però i suoi luoghi e le sue vicende hanno avuto spesso un ruolo significativo; alcuni suoi personaggi (rabbini, scienziati, scrittori) hanno dato un contributo speciale alla storia della cultura ebraica e non solo. Non trovare cenni a Ovadiah da Bertinoro, a Ramhal, a Elia Benamozegh, a Shemuel David Luzzatto (tanto per fare alcuni esempi) lascia un po’ stupiti. Così come genera sconcerto la rapida, superficiale citazione di Primo Levi, nella cui grande scrittura si respira ebraismo a pieni polmoni.
Carenze che fanno riflettere. Al di là di ciò, comunque, la visita al Museo Anu resta un’esperienza di forte spessore, un viaggio necessario per proporre alla nostra coscienza un intrigante confronto ebraico.
David Sorani