Periscopio – Dante
e il viaggio di Immanuel

Era inevitabile che, in quest’anno dedicato a Dante, nel settimo centenario della sua scomparsa, sulla stampa ebraica – e non solo – si riaccendesse l’attenzione sui possibili rapporti intercorsi tra il poeta fiorentino e Immanuel Romano (1261-1328), geniale e anticonformista compositore medievale, contemporaneo dell’Alighieri, anch’egli autore, tra l’altro, di un affascinante, originalissimo poema, intitolato L’Inferno e il Paradiso, nel quale viene immaginato, esattamente come nella Commedia, un viaggio nell’oltretomba, volto a permettere la conoscenza delle “segrete cose”. L’opera fu pubblicata, anni fa, per i tipi della Giuntina, da Giorgio Battistoni, e al tema è stato dedicato un saggio da Umberto Fortis, presso l’Editore Salomone Belforte (due case editrici, Giuntina e Belforte, verso le quali l’intero Paese ha un grande debito di gratitudine, per la preziosa opera di valorizzazione di tesori culturali che resterebbero altrimenti relegati nell’ombra): Manoello volgare. I versi italiani di Immanuel Romano.
Come è stato ricordato nel numero cartaceo di Pagine Ebraiche di maggio, Battistoni – studioso di grande finezza, che ho conosciuto molto bene di persona, e col quale mi sono a lungo intrattenuto su questo tema – ipotizzò, sulla base di molteplici indizi, molto ben esposti e argomentati, che i due poeti si siano conosciuti e abbiano intrattenuto degli scambi personali, particolarmente in occasione della loro comune frequentazione della corte veronese. Non solo: sarebbe stato lo stesso Immanuel a ispirare a Dante l’idea del viaggio oltremondano, e il Daniele, che accompagna Romano nel suo percorso (così come Virgilio con Dante), sarebbe da identificare proprio con l’Alighieri, a cui Immanuel avrebbe tributato una stima e una considerazione pari a quelle riservate da Dante a Virgilio. Una congettura certamente seducente e suggestiva, che è stata formulata anche, con diverse argomentazioni, da persone del calibro di Samuel David Luzzatto e Giosuè Carducci, e a sostegno della quale Battistoni, nel suo libro, ha portato elementi nuovi, certamente degni di considerazione. Tale ipotesi, però, ha trovato anche diversi avversari, che l’hanno contestata in ragione di mancanza di prove. Nulla dimostra che Dante e Immanuel si siano conosciuti, che il primo abbia ricavato dal secondo l’idea del suo poema, e che il Daniele di Immanuel sia una trasfigurazione di Dante.
Non ho gli strumenti e la competenza per pronunciarmi in modo non superficiale sulla questione, ma posso limitarmi, su un piano di mero senso comune e verosimiglianza, ad avanzare una mia idea. Prima di farlo, però, vorrei puntualizzare alcuni principi di base che, sul piano della valutazione di eventuali derivazioni o dipendenze tra opere letterarie, dovrebbero essere tenuti presenti:
Se in due opere compaiono delle frasi esattamente uguali, è evidente che uno dei due autori ha preso dall’altro. E, normalmente, dovrebbe essere colui che ha scritto dopo ad avere preso da chi ha scritto prima. Ma ciò non è detto che sia sempre vero, perché non sempre un autore pubblica subito le sue opere, o la sua pubblicazione viene conosciuta. Io posso copiare un testo inedito (o edito, ma ignorato) del passato, e la cosa potrebbe non essere mai scoperta da nessuno. Ma non è questo, comunque, il caso di Immanuel e Dante, nei due poemi non ci sono versi uguali, solo l’idea del viaggio ultraterreno è in comune.
Ma, anche nel caso di presenza di frasi identiche, non è detto che ci sia stata una derivazione diretta e consapevole, in quanto può ben darsi che il collegamento sia avvenuto attraverso passaggi intermedi: x prende da y, il quale, a sua volta, aveva preso da zeta. Allora la prima fonte di x non è y, ma zeta, anche se può darsi che di zeta ignori pure l’esistenza.
In mancanza di brani uguali, o quasi, nelle due opere, un debito di derivazione – sul piano semplicemente delle idee – può essere provato con certezza molto difficilmente, neanche qualora esso venga esplicitamente riconosciuto da entrambe le parti, chi cede e chi riceve l’idea. Io posso benissimo dire che ho ispirato i romanzi di un certo scrittore (magari per farmene vanto), senza che ciò sia vero, così come lui può dire di essersi ispirato a me, inventandosi la cosa (magari per nobilitare il proprio prodotto, nel caso che la presunta fonte ispiratrice sia più conosciuta e stimata). Ma, anche in questo caso, l’ipotesi non riguarda i nostri due autori, dal momento che nessuno dei due menziona mai l’altro.
L’ipotesi di un debito o di una derivazione, sul piano delle semplici idee, è tanto più forte e verosimile quanto più originale e particolare è l’idea condivisa. Se in due romanzi, di diverso autore, per esempio, si legge che gli extraterrestri sono atterrati in piazza San Pietro per ascoltare il papa, difficilmente può essere una coincidenza, ma se in entrambi è scritto che, dopo la pioggia, torna il sereno, non è certo qualcosa tale da fare pensare a plagi, influenze o derivazioni. L’idea di un viaggio oltremondano era, negli anni di Dante e Immanuel, un’idea tanto nuova e originale da fare pensare a una derivazione dell’uno dall’altro, o potrebbe trattarsi di una mera coincidenza?
Mi riservo di tentare una risposta mercoledì prossimo, ma estendendola anche a un altro personaggio – a mio avviso, uno dei più grandi artisti del Medio Evo -, pure a proposito del quale ci si è interrogati, in diversi contesti, riguardo alla possibilità di annoverarlo tra le fonti ispiratrici di Dante.

Francesco Lucrezi