Controvento – Ricerche promettenti

Per tutto il 2020 e fino ai giorni scorsi, sembrava che la ricerca in campo medico si fosse attestata solo sul Covid e relativi vaccini.
Due interessanti notizie di questi giorni dimostrano invece che non è così. La prima riguarda la scoperta di una classe di proteine del sistema immunitario che starebbero alla base dello sviluppo del glioblastoma, uno dei tumori più letali del cervello. Si tratta per ora di una ipotesi che è stata testata solo sui roditori, ma ha dato risultati estremamente promettenti. Lo sviluppo del glioblastoma sarebbe dovuto allo secrezione di una proteina chiamata P-selectina che si lega alle cellule della glia, le cellule che servono da supporto funzionale e strutturale dei neuroni – da qui il nome glia, ovvero glue, colla in inglese – stimolandone la crescita.
Lo studio è stato condotto all’Università di tel Aviv presso il Cancer Biology Research Center diretto dalla professoressa Ronit Satchi-Fainaro. Finora il glioblastoma, che ha un grado di letalità del 95% entro 5 anni e rappresenta il 45% di tutti i tumori del cervello (ringrazio il dott. Luciano Bassani per le sempre documentate informazioni) non reagiva a nessun tipo di terapia. La scoperta, se darà sull’uomo gli stessi risultati che sugli animali, apre quindi la speranza di poter efficacemente combattere questa terribile malattia.
L’altra buona notizia, e questa volta in fase molto più avanzata, è la recentissima approvazione da parte della FDA americana di un farmaco, il nome scientifico è Aducanumab, per la cura dell’Alzheimer, malattia che secondo l’OMS entro il 2050 colpirà circa 107 milioni di persone, con costi esorbitanti sia a livello sociale che economico. Se somministrato nelle fasi precoci, l’Aducanumab sarebbe in grado di rallentare il declino cognitivo legato alla malattia. Sviluppato dall’ industria di biotecnologie Biogen, si tratta di un anticorpo umano monoclonale che inibisce o neutralizza i peptidi tossici di amiloide, che si aggregano a formare le placche senili riscontrate nel cervello dei malati. Il farmaco è stato sviluppato nel laboratorio del Prof. Roger Nitsch e del Prof. Christoph Hock all’Università di Zurigo, dove ha a lungo lavorato la dott.ssa Antonella Santuccione Chadha, che fa parte del Comitato Scientifico di BrainCircleLugano, l’Associazione gemella della nostra BrainCircleItalia. Antonella Santuccione Chadha e Maria Teresa Ferretti, che sono state testimoni di questa ricerca, ne parlano nel libro recentemente pubblicato il “Una bambina senza testa: storie di malattie del cervello e della mente e le differenze tra uomini e donne” (edizioni Mondo Nuovo) dove un capitolo è dedicato alla storia dello sviluppo del farmaco e alla descrizione del suo potenziale di cura. E’ una storia affascinante che parte da una intuizione paradossale: quella di studiare non il cervello dei malati, come si era sempre fatto, ma al contrario quello delle persone molto anziane e in ottima forma (i cosiddetti “super agers”) per capire come mai non sviluppano la malattia. Un cluster corposo di “super agers” è stato individuato in Sardegna, dove è partita la ricerca. L’ipotesi è che vi fossero in queste persone degli anticorpi in grado di legarsi alle proteine tossiche dell’amiloide al punto da neutralizzare la formazione delle placche. “Era la prima volta, nella storia delle neuroscienze, che si riusciva a dimostrare che un anticorpo, molecola molto grande di per sé, se iniettata nel circuito sanguigno, era in grado di attraversare la barriera emato-encefalica, sino ad allora ritenuta impermeabile a molti agenti patogeni o virali e certamente a molecole così grandi” scrivono le due scienziate.
Va precisato che l’approvazione della FDA ha suscitato non poche polemiche, e tre consiglieri indipendenti hanno rassegnato le dimissioni sostenendo che i trial clinici sui cui è basata l’immissione in commercio non hanno portato a risultati chiari sul reale beneficio di Aducanumab e che anzi, somministrandolo in alte dosi, potrebbe causare edema cerebrale ed emorragie. Ma in mancanza di qualsiasi alternativa, evidentemente la FDA ha ritenuto che l’approvazione accelerata per una malattia per la quale ancora non esiste nessuna cura, sia giustificata.
Una delle perplessità che riguarda la ricerca, è che si focalizza sulla proteina APP, quella che porta alla formazione peptidi tossici di amiloide che si aggregano a formare le placche senili (senile claque), mentre molti ritengono che bisognerebbe invece concentrarsi sul metabolismo della proteina TAU da cui derivano i peptidi tossici che formano gli aggregati neurofibrillari( neurofibrillary tangles). Anche Aducanumab va a ridurre la proteina TAU, ma non è il suo target precipuo.
“Secondo una metafora generalmente accettata, i peptidi amiloidi sono come il grilletto di una pistola, ma la pallottola che uccide sono i derivati tossici di TAU” spiega il prof. Pietro Calissano, presidente emerito di EBRI, la Fondazione per la ricerca sul cervello creata da Rita Levi Montalcini, di cui Calissano è stato per quarant’anni il più stretto collaboratore. Proprio prendendo spunto dalle scoperte del Premio Nobel, il prof. Calissano insieme alla ricercatrice Giuseppina Amadoro ha messo a punto, dopo un decennio di lavoro sperimentale su animali transgenici che sviluppano una sindrome Alzheimer, un anticorpo monoclonale (12A12) che blocca un peptide tossico di TAU e migliora nettamente la malattia senza colpire la proteina TAU sana. Questo anticorpo è stato brevettato ed è in attesa di una industria farmaceutica interessata a produrlo per uso clinico. Purtroppo nel nostro Paese, a differenza che in America, in Israele e in Svizzera, non esistono industrie disponibili a investire per il passaggio dalla fase sperimentale a quella clinica. E quindi questa promettente ricerca rischia di finire in un cassetto o di essere sviluppata in altri Paesi, arricchendo e dando lustro alla ricerca e alle industrie farmaceutiche estere.

Viviana Kasam