Storie di Libia – Clemente Bublil
Clemente, nato a Tripoli, ebreo di Libia. Con la sua famiglia benestante abitava dietro alla Residenza del Re. La casa in cui abitava è stata costruita da suo padre. Come molti ebrei tripolini aveva svolto gran parte degli studi in Inghilterra. Ricorda che la regola era: se un componente della famiglia lasciava la Libia, non poteva essere seguito da altri, che dovevano restare in ostaggio. Della Libia ricorda fortemente la paura, la mancanza di libertà, le umiliazioni e le minacce subite sotto casa da ragazzetti armati di coltelli e accette. Le donne uscivano di rado per non rischiare che, come tante altre giovani, potessero essere rapite per andare in spose, contro la loro volontà, a cittadini islamici. Suo padre ne salvò ben 52 da un destino così triste. Ha parlato molto poco della Libia ai suoi figli. Difficile cercare ricordi positivi, la consapevolezza di essere liberi e non perseguitati è stato il sentimento più forte all’arrivo in Italia, come quella di essere sfuggiti ad una fine orribile. Nel 1967 aziende, negozi, case furono bruciate o confiscate agli ebrei libici dopo duemila anni di presenza sul territorio. A sua madre fu strappata anche la fede dalle dita. Arrivati in Italia, con solo 25 sterline in tasca, ogni componente della sua famiglia manifestò la resilienza, la capacità di intraprendere, di costruire un futuro per sé e i propri figli. Soprattuto a Roma e a Milano, gli ebrei tripolini aprirono aziende di abbigliamento, ora prestigiose. Da quando sono a Roma hanno portato ad un più alto livello la kasherut: nel 1967 c’era solo una macelleria, mentre oggi ce ne sono 14. Inoltre sono state aperte otto sinagoghe di rito tripolino in vari punti di Roma. Si sono integrati e hanno partecipato attivamente alla vita economica italiana. Molti si sono sposati con ebrei romani e ne è seguita una bellissima gioventù dinamica, attiva e intraprendente. Della Libia nutre i le tradizioni culinarie e il rito libico della preghiera e ricorda la grandezza di importanti rabbini libici cari alla storia ebraica. Sente di essere stato defraudato dei suoi beni e vorrebbe che gli venisse riconosciuta la ricchezza estorta senza motivo, ma manifesta l’inutilità di lottare per preservare ciò che resta di sinagoghe e cimiteri, perché molti integralisti islamici insegnano e professano odio nei confronti degli ebrei e mirano a spazzare via ogni cosa legata all’ebraismo. Sinagoghe e cimiteri ebraici sono stati profanati e demoliti per costruire strade e palazzi. Purtroppo l’odio nasce dall’ignoranza: hanno imparato ad odiare tutto ciò che non è islamico. Clemente si augura che prima o poi imparino ad amare. Ma non vuole generalizzare. Ci sono paesi arabi come il Marocco in cui l’islamismo non assume tinte così cupe. Lo dimostra il Patto di Abramo di recente siglato da alcuni paesi arabi ed Israele. Quando era giovane Clemente sentì il desiderio di combattere e lasciò l’agiatezza della sua casa italiana per andare in Israele e fu soldato “solo”, cioè senza famiglia per un lungo tempo. Rischiò la vita e quando finì questo periodo cominciò veramente ad apprezzare ogni piccola cosa e ad assaporare ogni momento. A Roma si è sposato e ha avuto dei figli. Ci tiene a far presente che in Israele gli arabi sono rispettati, come le loro moschee, e godono di massima libertà, dell’assistenza sanitaria e di supporto economico in caso di bisogno. Ci dice: “Israele è l’unico forte baluardo contro l’estremismo islamico, un punto di riferimento per ogni ebreo. Se dimentico Gerusalemme dimentico la mia mano destra”. Esorta i giovani a essere uniti e aiutare sempre Israele, definendolo il vero rifugio di ogni ebreo, e a studiare e frequentare la sinagoga vivendo con coerenza e correttezza e nel rispetto dei valori.
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(Per contattare l’autore, anche per eventuali testimonianze sulle storie e le memorie degli ebrei di Libia, è possibile scrivere a: davidgerbi26@gmail.com)
David Gerbi, psicoanalista junghiano
(14 giugno 2021)