Etica e responsabilità

Due cose, fra le molte, mi hanno sempre colpito dell’ebraismo. La prima è il concetto di marit ‘ayn (l’apparenza all’occhio), l’idea che ciò che tu fai possa essere interpretato dagli altri come una trasgressione dell’halakhah – anche se in effetti non lo è – e portare quindi chi ti vede a giudicarti in modo erroneo, e rendersi magari responsabile di lashon hara’, di maldicenza.
Contro il costume corrente di controllare il comportamento altrui, in genere per criticarlo, si invita l’individuo a concentrarsi sul comportamento proprio, e ad averne piena consapevolezza, e a governarlo in relazione al rapporto con gli altri.
Il secondo concetto dell’ebraismo che mi ha sempre intrigato, e legato in qualche modo, è l’idea che le tue azioni e le tue parole sono spesso interpretate, dagli altri, come indicativi del comportamento e del pensiero degli ebrei in generale. La questione è complessa e delicata, perché ci si trova di fronte al problema della stereotipizzazione e a quello del condizionamento. Gli altri tendono a generalizzare e a produrre pregiudizi sul’ebreo, e la storia ne offre ampio campionario. Inoltre, porsi il problema di come gli altri recepiscano te e le tue azioni rischia di trasformarsi in un condizionamento, anche non desiderabile e dannoso, del tuo comportamento e della trasparenza della tua espressione. E, tuttavia, essere consapevole di come gli altri ti vedano – anche nei loro pregiudizi – ti costringe a sentirti almeno in parte responsabile dell’interpretazione altrui, del modo in cui gli altri ti leggono. E responsabile, almeno in parte, dei loro pregiudizi. Senso di colpa? No. Accentuato senso di responsabilità, che ti rende consapevole che il limite ultimo di un tuo comportamento leggero, o errato, può avere come risultato il Chillul haShem (la dissacrazione del Nome), perché ogni ebreo rappresenta (in sé e agli occhi degli altri) il codice morale dell’ebraismo in sé. Se sbagli tu, agli occhi degli altri è l’ebreo, l’ebraismo, che sbaglia.
Ci si rende conto delle delicatissime implicazioni, anche possibilmente negative, del concetto suesposto, e se ne può certamente discutere ad libitum. Ciò che appare profondamente educativo, tuttavia, è il fatto che l’ebraismo ti indichi e ti insegni il senso di responsabilità nei riguardi della tua appartenenza e della tua identità. E il senso di responsabilità nei riguardi dell’etica che incarni (o dovresti incarnare) e rappresenti agli occhi degli altri. L’ebraismo sta coniugando gli spesso contraddittori aspetti dell’essere con l’apparire. Shakespeare ne sarebbe entusiasta!
E si chiarisce, una volta di più, il senso del ‘kol Israel ‘arevim ze laze’, ogni ebreo è responsabile per ogni altro ebreo.

Dario Calimani

(15 giugno 2021)