Metamorfosi politiche
e manovre post-pandemiche
La vita politica italiana e quella israeliana sono impegnate in notevoli cambiamenti di scenario. In Italia la trasformazione dell’agone politico si è già realizzata all’inizio dell’anno, con la inedita creazione di una mega-maggioranza intorno al governo Draghi; ma i movimenti dei leader e dei partiti lasciano presagire altre novità. In Israele è appena nato un composito esecutivo che esclude il leader carismatico per eccellenza, cioè Netanyahu. Sono sviluppi che rientrano nella inesorabile, inarrestabile evoluzione (o involuzione?) della pratica politica in atto da decenni: da elaborazione/realizzazione di idee attraverso programmi a pura strategia/tattica per la conquista e l’occupazione di spazi di potere, vale a dire posizioni di controllo e gestione sociale, di beneficio e vantaggio economico, di orientamento culturale in varie direzioni. È questa una metamorfosi in corso almeno dalla travagliata fine della Prima Repubblica in Italia (i primi anni Novanta, dunque); dall’assestamento stabile della destra al governo per quanto riguarda la scena politica israeliana (l’inizio degli anni Duemila), se vogliamo continuare il parallelo tra i due sistemi.
La pandemia ha profondamente sconvolto e alterato il panorama mondiale. Di fronte a una crisi economica imprevedibile perché legata all’evoluzione della malattia e a una imperiosa necessità di ripresa, le vecchie ricette e i vecchi schieramenti si mostrano del tutto insufficienti. Ecco che emergono come dal nulla possibilità di collegamenti ideologicamente impensabili.
In Italia né l’alternanza bipolare, né l’alleanza di partiti grandi e medio-piccoli risultano utili, perché per la ripresa serve una grande unità, con scelte comuni e condivise. Così si spiega nel fondo l’ammucchiata di quasi tutte le forze politiche a sostegno del governo Draghi, figura per tutti incontestabile, al di sopra delle parti. È una situazione probabilmente inevitabile, che però snatura e di fatto tende ad appiattire l’identità politica. In Israele il governo Netanyahu appena giunto al capolinea ha avuto il merito di portare il Paese fuori dal guado del “Corona” (come tutti lì chiamano il virus) consentendogli di trovarsi in notevole vantaggio rispetto ad altre aree del mondo; ma ha poi evidenziato in modo inequivocabile il personalismo verticistico ed utilitaristico del suo leader, da mesi sotto processo. Dopo aver avuto come vincitore delle ultime, ennesime elezioni tempo e possibilità di dar vita a un nuovo esecutivo e non esserci riuscito, per restare al vertice ed evitare così inevitabili guai giudiziari Netanyahu è stato in questi giorni disposto anche a tentare di minare il sistema politico parlamentare israeliano, cercando di ribaltare a suon di proclami populisti la prassi istituzionale e la maggioranza faticosamente raggiunta da Lapid e Bennett, politici di tendenze contrastanti ma uniti dall’esigenza tattico-strategica di dare finalmente una risposta a un’impasse politica che dura da anni. E anche al di là della sostanziale divisione in due orientamenti contrapposti incapaci di superarsi (frammentati però in tante formazioni politiche diverse) tipica del sistema politico israeliano, anche oltre la questione della sua “democrazia bloccata”, per il bene stesso della vita democratica dello Stato e della società appare necessario un cambiamento di prospettiva dopo la fase caratterizzata dal dominio di Netanyahu. Occorre andare al di là degli interessi del leader e della spartizione di vantaggi tra partiti di destra nazionalisti e religiosi. Ecco emergere, anche qui come in Italia con la comparsa di Draghi, la convergenza in un’alleanza apparentemente impossibile, capace di mettere insieme Yamina, Yesh Atid, Tikwah Hadashah, Avodah, Meretz e persino il partito arabo islamista Ra’am. Chissà per quanto tempo potrà reggere un’accozzaglia così strampalata di schieramenti con ideali addirittura opposti. Probabilmente molto poco, ma ha il diritto/dovere di tentare.
I movimenti politici continuano. In Italia si sondano grandi manovre per il dopo-Covid, in vista delle elezioni politiche del 2023. A destra Salvini prova a creare una Federazione per cercare di capitalizzare la potenziale maggioranza che i sondaggi assegnano da tempo al centrodestra, ma anche per limitare i danni provocati alla Lega dalla travolgente crescita di consensi di Giorgia Meloni (Fratelli d’Italia pare ormai a poche lunghezze); Forza Italia sta a guardare con scarso entusiasmo e rischia lo sfilacciamento. Al centro Calenda cerca spazio proponendo alleanze del suo gruppo “Azione” con PD e Forza Italia, in grado di fronteggiare la destra estrema. Toti, governatore ligure anima di “Cambiamo” e vicino a FI, si collega al sindaco di Venezia Brugnaro e fonda “Coraggio Italia”. Stupisce in questo quadro l’immobilità di Renzi, di solito super-movimentista, oggi forse pago del successo della sua operazione-Draghi che ha portato il governo Conte allo sfascio e l’ex Governatore di BankItalia al vertice, o forse guardingo dopo esser diventato il bersaglio preferito della politica italiana. Il Movimento Cinquestelle, per parte sua, pare impantanato in una immobilità legata alla sua crisi istituzionale o forse alla sua stessa crisi di identità; una immobilità che rischia comunque di essergli esiziale, in una fase di mobilitazione generale.
Dopo fasi storiche che segnano una frattura, come indubbiamente è stata quella creata dalla pandemia, le svolte politiche si impongono. Resta qualche perplessità sulla disinvoltura di questi giri di valzer e sulla portata decisiva dei contenuti veicolati dai cambiamenti che si profilano all’orizzonte, tanto in Italia quanto in Israele. Proposte veramente nuove e maturate alla luce degli eventi epocali dell’ultimo biennio non se ne scorgono. Si vedono solo manovre tese al riposizionamento e alla creazione di nuovi equilibri.
David Sorani
(15 giugno 2021)