Spuntino – Parole d’alta quota

All’inizio della parashà di questa settimana, Chukkàt, D-o si rivolge a Mosè ed Aronne dicendo: “zot chukkàt ha-Torà” (questa è la legge della Torà) (Num. 19:2). Il Rav Chidà spiega il collegamento di questo versetto con la conclusione del brano precedente: “ve-et kodshè benè Yisrael lo techallelù ve-lo tamutu” (e non profanerete le cose sante dei figli di Israele e non morirete) (Num. 18:32). Quest’ultimo passaggio (“lo techallelù,” non profanerete) si riferisce all’utilizzo della parola, un dono che contraddistingue l’uomo rispetto alle altre creature. La capacità di comunicare verbalmente deve essere amministrata con ponderazione per non vanificarla. Rabbi Chayim Vittal dice che ognuno nasce con una riserva preassegnata di parole da esprimere che vanno dosate attentamente perchè quando si esaurisce la scorta vi sono due possibilità: o si perde il dono della parola oppure si passa a miglior vita. La Ghemarà (Chulin 88a) spiega in questo senso il salmo 58:2 che recita: “ha-umnam elem, tzedek tedabberun” commentando: “qual è l’arte dell’uomo in questo mondo? Ammutolirsi! Vale anche per parole di Torà?Parlate solo di cose giuste!” Lo stesso concetto è espresso allusivamente nella nostra parashà qualche versetto più avanti (Num. 19:15): “Ogni contenitore aperto che non abbia un coperchio ben accostato su di esso è impuro.” Impariamo a tenere chiusa la bocca per non parlare a sproposito rendendoci così impuri. D’altra parte tacere è la strategia migliore per evitare le dispute che non sono in nome del Cielo, tipo quella di Korach. Come ama ripetere mia madre: il silenzio è d’oro, la parola è d’argento. A meno che la parola non riveli la saggezza della Torà. Questo è il senso di “zot chukkàt ha-Torà.” Il contatore delle parole scorre ma quando sono di Torà si arresta perchè in tal caso la quota è infinita.

Raphael Barki

(17 giugno 2021)