Le carte false di Aldo Veldotti
Si chiamava Aldo Veldotti. Un uomo comune, si direbbe. Sfortunato. Era impiegato del comune di Padova nel 1943 e decise di sottrarre alcune carte d’identità in bianco, consegnandole alla rete di solidarietà organizzata da padre Placido Cortese (in seguito arrestato dalla Gestapo, torturato a Trieste e ucciso). Un gesto semplice e pericoloso. Lo scoprirono, lo licenziarono. Quei documenti, divenuti carte false, salvarono molte vite umane disegnando identità alternative. Grazie a gesti come questo tanti ebrei riuscirono a sopravvivere alle persecuzioni, a sfuggire alla deportazione. Dopo la guerra Aldo Veldotti non fu riassunto al Comune. Il suo gesto, eroico, per la freddezza della burocrazia era pur sempre un reato penale e l’amministrazione pubblica non fa sconti. Di Aldo Veldotti, solo e senza famiglia, si perdono le tracce, non si fa memoria di quel che fece. Lo si ritrova – non lui, ma il suo corpo – fra le quasi duemila vittime della tragedia del Vajont. L’ultima ad essere identificata, solo pochissimi anni fa. Una vita semplice e sfortunata.
Gadi Luzzatto Voghera, direttore Fondazione Cdec