Regole disinnescate

“Il motivo per cui la carne di maiale sia proibita dalla legge ebraica è tuttora poco chiaro e alcuni studiosi ritengono che la Torah suggerisca semplicemente di non mangiarla in taluni ristoranti.” Ovviamente nessuno prenderebbe sul serio questa frase che Woody Allen pone a conclusione di uno dei suoi “Racconti hassidici, con guida alla loro interpretazione scritti dal noto studioso” in Saperla lunga (Getting Even). La troviamo divertente e paradossale perché sappiamo bene che nel campo della kasherut l’halakhah è andata nella direzione opposta e ha dilatato le regole rispetto alla lettera della Torah. In altri ambiti, però, se confrontiamo la Torah scritta con l’halakhah di oggi incontriamo differenze e riduzioni ben più radicali di quella ipotizzata scherzosamente da Woody Allen. Ci sono regole che sono state sostanzialmente disinnescate (uso questo termine per sottolineare il potenziale esplosivo che avrebbero potuto avere), perché immerse in un mare di distinzioni ed eccezioni così vasto e complicato che nessuno si azzarderebbe a percorrerlo. Di alcuni casi (per esempio quello del figlio ribelle) i Maestri hanno affermato esplicitamente che non si sono mai verificati nella realtà e che la Torah li contiene solo per offrire un argomento di studio.
In generale le regole disinnescate ci fanno tirare un sospiro di sollievo perché la lettera della Torah sarebbe lontanissima dalla nostra sensibilità. Ci sono però alcune eccezioni, in particolare alcune mitzvot tese a limitare le differenze sociali, in cui invece la Torah sembra proporre un’utopia, un sogno che non ci dispiacerebbe sognare. Penso per esempio all’anno sabbatico (“Per sei anni seminerai la tua terra e ne raccoglierai il prodotto, ma nel settimo anno non la sfrutterai e la lascerai incolta: ne mangeranno gli indigenti del tuo popolo”; “Ciò che la terra produrrà durante il suo riposo servirà di nutrimento a te, al tuo schiavo, alla tua schiava, al tuo bracciante e al forestiero che è presso di te”), o al giubileo (“E santificherete il cinquantesimo anno e proclamerete la libertà nella terra per tutti i suoi abitanti. È il Giubileo, tale sarà per voi; ognuno di voi tornerà alla sua proprietà e ognuno di voi tornerà nella sua famiglia. … direttamente dal campo mangerete i prodotti di quell’anno”). La differenza tra queste norme – che in sostanza mettono in discussione almeno per un anno l’idea stessa di proprietà privata e immaginano una società in cui vige un’assoluta uguaglianza – e l’halakhah di oggi su questi temi non appare (per lo meno a un’ignorante come me) meno clamorosa della differenza tra non mangiare maiale per nulla e non mangiarlo in alcuni ristoranti: in entrambi i casi si tratta di norme cancellate o edulcorate fino a renderle quasi irrilevanti. Ovviamente anche nella mia ignoranza capisco benissimo che queste riduzioni non nascono dal nulla ma sono figlie di tremila anni di tradizione orale; tuttavia non posso fare a meno di domandarmi se non siano state almeno in parte anche un inevitabile cedimento ai valori di altri popoli con cui gli ebrei nel corso della storia hanno dovuto convivere in posizione d’inferiorità. O, per lo meno, non riesco a fare a meno di pensare che la Torah, pur non pretendendo di essere presa alla lettera, voglia comunque indicare una meta, una direzione verso cui tendere, che oggi non viene presa molto sul serio ma che invece potrà e dovrà essere presa sul serio nel futuro.

Anna Segre