Colonialismo,
anticolonialismo
e tranquillità

È sconcertante apprendere che, negli Usa, la Howard University chiude la Facoltà di Lettere Antiche e che, a Princeton, ci si possa laureare anche senza conoscere le lingue antiche, e tutto nel contesto del ripudio al razzismo e al colonialismo. Il fenomeno non è localizzato, ma dilagante. Sennonché, un vero ripudio del colonialismo comporterebbe la restituzione integrale dell’America agli indigeni superstiti, ammesso che fra loro e il passato si frapponessero soltanto i dinosauri. Gli antichi romani ebbero Israele come colonia e, quando i colonizzati insorsero, furono massacrati e chi non fu massacrato venne portato in catene a Roma. Ha senso insegnare diritto romano? Oppure, visto che l’italiano, in fondo, è un dialetto del latino, simbolo dell’Impero, ed è per definizione “volgare”, non dovremmo cambiare lingua? In Italia, un tempo, alcune esagerazioni antesignane del kitsch, venivano definite quali “americanate”; a pensarci bene, certe fesserie non dovrebbero avere più dignità scientifica dei maccheroni col ketchup.
Nel 1987, Allan Bloom scrisse “The Closing of the American Mind”, con la prefazione di Saul Bellow (il volume è stato pubblicato in Italia da Lindau nel 2009), dove scrisse che gli studenti, pur nella loro diversità, avevano in comune il relativismo e il culto dell’eguaglianza. La chiusura (denunciata da Bloom) non è altro che cospirazionismo: si insegna la cultura classica per relegare il terzo mondo in una posizione di inferiorità, ecc. Nell’America ancora non rovinata dai colonialisti, i ricorrenti sacrifici umani avevano quello scopo: placare delle entità misteriose, le quali (evidentemente) cospiravano. Un metodo ottimo, anche se non è azzardato ipotizzare che il soggetto sacrificato non gradisse. Visto nell’ottica dei sacrificatori, quando il capo famiglia indigeno diceva al figlio “non sai i sacrifici che ho fatto per te”, era chiaro a cosa si riferisse. Ciò che contrasta tale barbarie, ad esempio la filosofia greca, non è locale, ma universale, e quindi non è etnocentrica, spiega Bloom.
Di recente, Anthony Kronman, che è stato Dean della Yale Law School, subito dopo Guido Calabresi, un ebreo italiano, ha scritto The assault on American Excellence (Free Press, N.Y., 2019). A Kronman spiegai (o tentai di spiegare) lo ius gazagà, mentre andavamo a pranzo a Roma dopo un convegno su Law & Literature, nel quale si vide la differenza fra preti e pastori, nella spiegazione resa da Heine. Nel suo libro, Kronman spiega la tensione fra lealtà democratica (l’eguaglianza) e lealtà aristocratica (alcuni modi di vivere sono migliori degli altri; basterebbe leggere la recente cronaca italiana). Si tratta di una questione speculare al ruolo del merito in rapporto al rispetto per chi resta indietro. Da noi, però, tutto questo non può succedere, perché per farlo bisognerebbe abolire delle cattedre. Tranquilli.

Emanuele Calò, giurista

(22 giugno 2021)