La Scala, il ’38 e il grande ritorno
Veneziani, un protagonista riscoperto

Il nome di Vittore Veneziani (1878-1958) è principalmente legato al Teatro alla Scala di cui è stato a lungo direttore di coro. Il fortunato idillio milanese, tuttavia, fu forzatamente interrotto dalle leggi antisemite del ’38 che lo costrinsero ad abbandonare la professione e a rifugiarsi in Svizzera. Rientrato in Italia all’annuncio della liberazione, mentre la Scala giaceva tra le macerie, riprese la sua attività col memorabile concerto dell’11 maggio del 1946, accanto ad Arturo Toscanini. Tuttavia in pochi sanno che una delle vocazioni del maestro fu quella della composizione, studiata a Bologna con Giuseppe Martucci e testimoniata da numerosi lavori giovanili. Il suo catalogo, tutt’altro che esiguo, comprende parecchie pagine corali, quattro melologhi per voce recitante e orchestra, alcune opere liriche, composizioni sinfoniche e cameristiche e una serie di trascrizioni per coro di canti popolari e melodie ebraiche. Significativa la collaborazione intrapresa in questo ambito con lo scrittore veneto Guido Pusinich (1908-1966), della quale pure non restano documenti o scambi epistolari, probabilmente perché si conobbero e frequentarono nel periodo in cui Veneziani era docente di canto corale a Venezia.
L’esito artistico di quel felice incontro permea il cd “Le liriche da camera di Vittore Veneziani e Guido Pusinich” pubblicato dalla casa discografica Tactus in collaborazione con il Festival Viktor Ullmann. Beatrice Palumbo (voce) e Gian Francesco Amoroso (pianoforte), i curatori, ne hanno proposto un assaggio in occasione del festival “Erev Laila. Nuove tracce verso Gerusalemme” in svolgimento a Trieste con la collaborazione della Comunità ebraica e del suo museo Carlo e Vera Wagner.
Il terzo di quattro appuntamenti, sottolinea Davide Casali, che ne è il direttore artistico, per riflettere “sul dramma delle leggi razziste e le conseguenze che ebbe per i musicisti e compositori ebrei italiani, estromessi dai luoghi di lavoro (scuole e conservatori) e dai cartelloni dei teatri e finiti per decenni nell’oblio”.