Il Jazz di Alì, dall’Africa a Varsavia
Nascono prima le idee a unire uomini e Paesi; poi arrivano trattati e protocolli.
L’Unione Europea [Europäische Union] è un’idea che unisce uomini e Paesi e nacque a Berlino il 15 luglio 1943, in piena guerra e nel cuore della Germania nazionalsocialista; era un’organizzazione resistenziale antifascista costituita da Georg Groscurth, Robert Havemann, Paul Rentsch, Herbert Richter e altri. Credeva in un’Europa libera, unita e ispirata ai valori del socialismo democratico.
L’Unione Europea stabilì contatti con i lavoratori forzati e nascose i perseguitati politici del Reich; nel settembre 1943 diversi affiliati dell’Unione furono arrestati dalla Gestapo, 40 membri furono rinviati a giudizio presso i tribunali popolari tedeschi, 14 di essi furono condannati a morte.
Il sogno europeo aleggiava sin dal 29 maggio 1938 nella Vienna annessa al Reich sulla banchina del treno per Dachau mentre i deportati intonavano il beethoveniano Inno alla Gioia (oggi inno dell’Unione Europea); Babele alla rovescia, l’Europa multilingue si riunificò nel 1943 a Sachsenhausen dove gli inni erano tradotti in 8 lingue perché tutti potessero comprenderli e cantarli.
Musicisti di strada Romanò facevano musica a Valencia e Budapest quando Spagna e Ungheria non avevano nulla in comune; da Lubecca a Odessa si attraversavano Paesi germanofoni e slavofoni in perenne contenzioso territoriale e culturale ma si parlava un’unica lingua, lo jiddish.
Ebrei e Roma, i popoli più paneuropei, furono quelli che finirono nei Campi di sterminio, a essi vanno restituiti i passaporti europei confiscati dall’ecatombe deportatoria al fine di ripristinare le giuste coordinate umanitarie; la loro musica creata nei Lager è Patrimonio universale, transgenerazionale.
Nel 1945, sulle rovine di Londra bombardata dalla Luftwaffe, sulle macerie di Dresda rasa al suolo dagli Alleati e sulle ceneri umane di Birkenau, qualcuno immaginò una nuova Europa.
Una volta Oświęcim (Auschwitz), Terezìn, Riga, Berlino Est si trovavano nei Paesi del Patto di Varsavia dove ci si recava con passaporto munito di visto; luoghi di un immaginario collettivo geograficamente e ideologicamente lontani dall’Europa al di qua della cortina di ferro.
Da decenni quei Paesi sono nell’Unione Europea, si va da Varsavia a Vilnius come da Parigi a Madrid; abbiamo importato nell’Europa comunitaria i luoghi della Memoria, abbiamo mille ragioni in più per confrontarci con la loro Storia e con i protagonisti del loro pensiero artistico-musicale.
Per promuovere la produzione musicale creata in Lager e Gulag è necessario partire da presupposti di inconfutabilità scientifica e meticolosità nelle ricerche; letture fortemente pregiudiziali dei fatti storici o viziate da ideologie di varia natura non aiutano la causa.
Nel 2007 il Ministero dell’Istruzione russo dispose la riscrittura dei libri scolastici, in essi non compare attualmente alcuna menzione dei Gulag; responsabile dell’uccisione di milioni di cittadini sovietici, il dittatore Iosif Stalin è oggi citato in magazine e interviste televisive alla stregua di un eroe e ricordato come il più grande russo della Storia (ignorando evidentemente le sue origini georgiane).
Il musicista ha un solo, infallibile mezzo per rivendicare legittime prerogative storiche: aprire i recinti e far uscire dalle stalle dei buchi neri della Storia l’incalcolabile quantità di opere cameristiche, sinfoniche e teatrali prodotte in cattività, prigionia e deportazione civile e militare.
L’uomo non è un animale individuale, altrimenti sarebbe un lupo solitario che caccia la preda e marca il territorio o, come profetizzò il musicista ebreo Viktor Ullmann a Theresienstadt, l’Imperatore di Atlantide che bandisce dal proprio Regno la Morte pur di vedere i propri sudditi infelici e contenti.
L’uomo è un animale sociale, respira dello stesso respiro di tutti gli uomini nella consapevolezza che il suo destino è collettivo e condiviso; non “io” o “noi” ma “tutti”.
Come per le Brigate Internazionali durante la Guerra Civile Spagnola, anche l’insurrezione di Varsavia (1° agosto – 2 ottobre 1944) vide la partecipazione di tedeschi antifascisti, scozzesi, americani, sovietici e combattenti di altre nazionalità a fianco dei paramilitari polacchi della Armia Krajowa; la caduta di Varsavia sarebbe stata la sconfitta di tutti coloro che avevano a cuore la libertà.
Tra di essi un grande eroe, il musicista jazz nigeriano August Agbola O’Browne (foto); per tutti era “Alì”, immigrato combattente in prima fila contro l’esercito più forte del mondo, quello tedesco.
Africano, immigrato, musicista; la Storia degli uomini assomiglia a un libro da leggersi al modo ebraico – dall’ultima pagina alla prima – oppure a una partitura di Salomone Rossi con chiavi, armature e pentagrammi che non scorrono da sinistra a destra ma viceversa.
È proprio quello il verso giusto delle cose umane, dall’ispirazione musicale alla difesa della dignità; ciò che sembra la fine è esattamente l’inizio.
Francesco Lotoro