La resistenza ebraica in Europa
Anche se la parte quantitativamente più ampia del volume di Daniele Susini – La Resistenza ebraica in Europa. Storie e percorsi 1939-1945, Donzelli editore, Roma 2021, prefazione di Laura Fontana, postfazione di Alberto Cavaglion – è riservata a quelle che lo stesso autore definisce “Storie di resistenza”, è di particolare interesse la lunga Introduzione, dedicata a definire sul piano del metodo l’oggetto della ricerca. In questa parte vengono presi in esame i principali stereotipi costruiti nel tempo sul popolo ebraico in riferimento alle persecuzioni subite, partendo dalla nota affermazione che gli ebrei, nella Shoah, sarebbero stati come pecore portate al macello per continuare a esaminare la tesi che gli ebrei sarebbero stati non un popolo ma una massa indistinta, per poi passare ad analizzare i meccanismi della costruzione della vittima per passare infine a decostruire il mito della passività degli ebrei.
È a questa punto che Susini pone la domanda fondamentale: quale resistenza? Seguendo la generale tendenza della storiografa sulla Resistenza, e non solo di quella ebraica, l’autore sottolinea che, se particolare significato hanno avuto gli episodi di resistenza armata, tuttavia, tenendo conto del contesto nel quale sono avvenuti, grande importanza hanno avuto anche gli atteggiamenti di dissidenza e di disobbedienza che in passato non erano compresi nella definizione di resistenza .La ferocia nazista, l’intento genocidario nei confronti dell’intero popolo ebraico hanno fatto sì che, come ricostruisce l’autore, a partire dagli anni Settanta del Novecento, sulla base soprattutto delle ricerche di Yehuda Bauer, si è fatta strada una nuova definizione fondata sul principio della “Amidah” che sottolinea la capacità di mantenere un atteggiamento di dignità anche in condizioni estreme. Ciò fa sì che atti di resistenza siano stati – nelle condizioni dei campi di concentramento, dei campi di sterminio, dei ghetti – anche il contrabbando di cibo, le attività religiose culturali educative, la raccolta o la diffusione di notizie, gli atti caritatevoli, i gesti di solidarietà: Bauer respinge per questi casi la definizione di resistenza passiva in quanto caratterizzati da una dose di intenzionalità che li rende attivi.
Solo leggendo le pagine della seconda parte del libro, dedicata appunto alle “Storie”, ci si può rendere conto di come queste indicazioni di metodo si ritrovino nella tragica realtà di tanti episodi, alcuni molto noti, come la rivolta del ghetto di Varsavia, altri assai poco o addirittura quasi sconosciuti. Ed è proprio su questi ultimi che si rivolge l’attenzione dell’autore, che ha utilizzato una vastissima bibliografia, soprattutto in lingua inglese.
Naturalmente gran parte delle storie si svolge là dove la ferocia nazista imperversò con la massima violenza e quindi nell’Europa orientale; tuttavia non mancano riferimenti ad episodi avvenuti nell’Europa occidentale occupata, in particolare in Francia; un intero capitolo è dedicato alla resistenza ebraica in Italia.
Valentino Baldacci
(24 giugno 2021)