L’intervista a Pagine Ebraiche Arturo Schwarz: “L’arte ci salverà “
Per caso o per fortuna, c’è chi incontra il suo destino fin da ragazzo. Sono vocazioni, amori, curiosità che in modo spesso imprevedibile vanno a segnare il corso di una vita intera. È quanto accade a Arturo Schwarz, vulcanico poeta, scrittore, storico dell’arte, collezionista di fama internazionale oggi quasi novantenne, che da adolescente s’imbatte in André Breton. Siamo ad Alessandria d’Egitto, città allora straordinario crogiolo di lingue, culture, religioni. Arturo compie sedici anni.
Da tempo compone poesie e quando per il compleanno riceve in dono qualche piastra decide di spenderla nella libreria francese dove s’imbatte in due volumi, entrambi di Breton: Le revolver à cheveux blancs e Le manifeste du Surréalisme. Non sa di che cosa si tratti ma incuriosito li compra.
Una volta a casa scopre, stupefatto, che le sue poesie sono scritte con il metodo così caro ai surrealisti della scrittura automatica con cui l’inconscio senza filtri si consegna alla pagina. Un altro si sarebbe contentato di questo prestigioso imprimatur culturale e l’avrebbe chiusa lì, ma Arturo Schwarz parte in quarta alla ricerca di Breton. L’impresa non è semplice come può sembrare essere oggi che email, Skype e Facebook hanno annullato le distanze.
Il ragazzo deve rivolgersi all’ambasciata francese al Cairo per capire cosa fa e dove vive Breton. Viene a sapere che è uno degli speaker di radio France libre a New York e gli invia per nave una lettera con le sue poesie. Quasi per miracolo la missiva giunge a destinazione, dopo aver attraversato l’oceano infestato dai sottomarini sottotedeschi. E un secondo miracolo avviene quando ad Alessandria d’Egitto giunge, dopo otto mesi, la risposta di Breton, che incoraggia il ragazzo a proseguire i suoi esperimenti poetici.
Quella lettera è per Schwarz un messaggio meraviglioso (“un éblouissement”, dice lui).
Le parole di Breton, con cui pochi anni più tardi stringerà un forte legame personale, lo proiettano in una dimensione inaspettata dove mette radici la sua straordinaria traiettoria di vita e di lavoro. Espulso dall’Egitto come tanti ebrei dopo il conflitto arabo israeliano perché accusato di attività sionista e trapiantato a Milano, Schwarz troverà infatti presto il modo di raggiungere Breton a Parigi.
Scoprirà così il meglio dell’avanguardia europea, dal surrealismo al dadaismo, e se ne entusiasmerà fino a decidere di portare queste esperienze anche in Italia. La sua libreria milanese si trasforma dunque in galleria d’arte e Schwarz collauda quel fiuto magico che ne farà uno dei collezionisti più affermati a livello internazionale. Entrare oggi nella sua casa nel centro di Milano è fare un salto in una dimensione parallela. Dal traffico che congestiona la via ci si inoltra lungo uno stretto sentiero, per ritrovarsi circondati dai roseti in fiore in uno spazio di giocosa immaginazione dove la piazza porta il nome di André Breton, il viale quello di Baruch Spinoza e sullo sfondo si staglia una coloratissima scultura di Niki de Saint Phalle. Ma è solo un assaggio delle sorprese all’interno, dove ogni centimetro quadro è dedicato all’arte: dipinti di pregio, sculture grandi e piccine, installazioni più o meno curiose e poi libri, libri e libri: quasi 40 mila volumi accuratamente suddivisi per temi e generi e ordinati in belle vetrine. Meglio però non usare il termine “collezionista”.
“È una parola che detesto – dice Schwarz – perché collezionista è chi collezionerebbe qualsiasi cosa, dalle farfalle ai francobolli. Io invece non sono mosso da quella pulsione di ritenzione”. Ad animarlo è piuttosto quel gusto per la poesia che lo stimola fin da ragazzo e che ancora rimane prepotente al centro del suo interesse.
Arturo Schwarz, perché questa passione per la poesia? Sembra un livello di grande astrazione. Niente affatto. È poeta chi vuole illuminare il mondo e trasformarlo a misura dei suoi sogno. La poesia ha un ruolo iniziatico, rivela la persona a se stessa perché possa agire questa trasformazione. La vedevano così anche due personaggi assai diversi fra loro come Marx e Rimbaud. In ogni caso, pur scrivendo poesie, da giovane ero impegnato sui due versanti molto concreti della politica e della medicina. Volevo diventare psichiatra, ho seguito anche un corso alla Sorbona, ed ero molto dotato per la biologia. A metà degli studi però sono stato espulso dall’università per il mio impegno politico.
Com’era, nel primo scorcio del Novecento, Alessandria d’Egitto, la città dov’è nato e cresciuto? Un luogo meraviglioso. Abitavamo in un quartiere lungo il mare e ogni domenica mattina c’erano concerti, conferenze, incontri di ogni tipo. In casa usavo il tedesco con mio padre, di professione chimico, che aveva inventato un sistema per disidratare le cipolle consentendo così all’Egitto di centuplicare le esportazioni. Parlavo italiano con mia madre e ho frequentato scuole francesi e inglesi.
E l’arrivo in Italia dopo l’espulsione?
Ero impiegato in un import export che rappresentava in Italia una società svedese che fabbricava carta di giornale. Lì conobbi la mia futura moglie che lavorava come segretaria di direzione. Fu lei a restituirmi la possibilità di viaggiare, vietatami dalla stampigliatura di “Pericoloso sovversivo – Espulso dall’Egitto” apposta sul mio passaporto. Gli altri impiegati avevano periodicamente bisogno di visti per recarsi in Svezia. Lei infilò il mio documento fra i loro e così ne ricevetti uno pulito. Potei dunque prendere il treno e andare a Parigi a trovare Breton, una delle persone che più hanno influenzato la mia vita, insieme a Marcel Duchamp. Da quest’ultimo ho appreso soprattutto la necessità di lottare contro il dogmatismo, tema in cui ritrovo anche un influsso dell’etica ebraica che ci insegna a non obbedire al principio di autorità e a praticare sempre il ragionamento e la discussione.
La sua avventura culturale inizia da una libreria.
Cominciai come editore, con un piccolo prestito ottenuto grazie a uno zio che era direttore della Banca commerciale italiana. Pubblicavo testi di poeti, giovani o già affermati, quali Pagliarani, Luzi, Ungaretti e Quasimodo. La libreria era nata in appoggio a quest’attività che venne bloccata, su richiesta di Togliatti, dopo la mia decisione di pubblicare La rivoluzione tradita di Trotsky. Lanciai le mostre d’arte per incrementare il lavoro della libreria e in principio furono dedicate al periodo dada, poi si svilupparono fino a includere molti altri artisti. Dadaisti e surrealisti allora costavano molto poco e negli anni Cinquanta e Sessanta il pubblico italiano sapeva molto poco delle avanguardie storiche. L’iniziativa ebbe dunque una certa eco.
In parallelo si forma la sua straordinaria collezione d’arte.
A dire il vero la mia prima collezione nasce ad Alessandria d’Egitto. Dapprima con delle cartoline che recano le riproduzioni di Chagall, del Douanier Rousseau e di Yves Tanguy. Più tardi è la volta della grafica, con acqueforti e litografie. Solo più tardi arrivano le opere degli artisti da me amati.
È stato per la prima volta in Israele quando lo Stato non era nemmeno nato, nel ‘44. E di recente ha donato all’Israel Museum di Gerusalemme e al Tel Aviv Museum of Art una parte importante della sua collezione. Per quale motivo?
Il mio rapporto con Israele è sempre stato molto forte, da sempre sono profondamente coinvolto in tutto ciò che lo riguarda e da quattro anni ho un passaporto israeliano conferitomi per ciò che feci a favore dello Stato nel novembre del ‘49. Sono fra i membri fondatori di quei musei d’arte e mi è sembrato giusto donare loro una quota delle mie collezioni artistiche: l’arte dev’essere vista e apprezzata da quante più persone possibile. Majakovskij diceva che l’arte è un martello per colpire la società: l’arte può aiutarci a migliorare il mondo perché non si può essere davvero felici in un mondo infelice.
Daniela Gross, Pagine Ebraiche Aprile 2013
(Nell’immagine, il ritratto di Arturo Schwarz firmato da Giorgio Albertini)