Machshevet Israel
Custodire e coltivare
Aharon Lichtenstein, zl, è stato rosh ha-yeshivà della Yeshivat Har Etzion, in Israele, e al contempo un ‘pensatore del giudaismo’, corrente modern orthodox, nel solco e sul modello di Joseph B. Soloveitchik (del quale diventò genero) ma anche di rav Itzchaq Hutner, di cui aveva enorme stima e nelle cui yeshivà pure aveva studiato. Ma da cotali scuole egli ‘crebbe’ come Aharon Lichtenstein, non come un clone dei suoi maestri. Nato a Parigi nel 1933, si era formato negli Usa (Yeshiva Univ; PhD ad Harvard) e per chiara fama venne chiamato nel 1971 in Israele ad affiancare un altro maestro, Yehuda Amital. Scomparso nel 2015, Lichtenstein è considerato tra i leaders dell’ortodossia ebraica contemporanea. Una parte delle sue lezioni di machshevet Israel è raccolta nel volume By His Light, “Nella Sua luce” [citazione dal salmo 36,10] (volume uscito nel 2016); altri suoi insegnamenti si trovano nei due tomi Leaves of Faith, incentrati sulle nozioni di Jewish learning e Jewish living. Adattando il titolo di una famosa opera del filosofo pragmatista William James, pubblicò nel 2011 il testo Varieties of Jewish Experience. Non v’è tema che il grande talmudista-filosofo non abbia trattato alla luce della tradizione.
Una delle sue tesi fondamentali è che non si può essere ‘buoni ebrei’ se prima, e contestualmente, non si è delle ‘buone persone’ in quanto esseri umani. L’ebraicità non sostituisce, ma integra e completa ed esalta l’umanità. Filosoficamente ciò significa che si dà un’etica universale, la quale viene sussunta e trasfigurata dalla Torà ma che, in un certo senso, è indipendente dalla Torà e viene da essa riconosciuta. Su questo tema ebbe alcune controversie con altri rabbini-filosofi, dentro e fuori il mondo ortodosso, dissenzienti su tale approccio. Si può intuire quanto il rapporto etica-Torà-halakhà sia delicato. Ad es., sui precetti noachidi, molti nella scia di Maimonide si sbilanciano sul versante della halakhà, mentre Lichtenstein tende a riconoscere ai quei precetti lo statuto di lex naturalis. La questione ha ricadute in tanti altri ambiti: dalle bio-tecnologie alla medicina, dalla politica alle sfide ecologiche.
Proprio per illuminare ebraicamente queste sfide è magistrale il suo testo “Coltivare e custodire”, verbi cui corrispondono i due compiti “le-‘ovdà u-le-shmorà” che HaQadosh baruch Hu affidò ai protogenitori nel mitico giardino, secondo Bereshit/Gn 2,15-17. Il sottotitolo di quel testo suona “i doveri universali dell’umanità” (appare emblematicamente come primo capitolo di By His Light), non per creare una separazione tra doveri etici e doveri halakhici, ma, al contrario, per mostrare e, se necessario, istituire una profonda continuità tra Weltanschauung halakhica e principi etico-ecologici. Il binomio custodire/preservare e coltivare/sviluppare la creazione (il mondo, il pianeta in cui viviamo) fa certamente parte dell’etica, da cui deriva un dovere universale, erga omnes, che interpella e si impone a tutta l’umanità; in più e andando in profondità, sulla base degli insegnamenti dei maestri di Israele si apprende che esso è al contempo un valore halakhico, che deriva dal principio che l’essere umano non è proprietario della terra su cui vive ma un fiduciario del Creatore, con l’incarico di prendersene cura. Ancora, halakhico è il valore, dalle molte implicazioni normative, del non mettere a rischio quel che ci è stato affidato; e halakhico è pure il valore di onorare il creato, perché chi onora e rispetta il creato onora e riverisce il di lui Creatore. ‘Custodire’ ha un côtè negativo: non fare cose donnose; ma ha anche un côtè positivo: fare la guardia d’onore, spiega rav Lichtenstein con immagine colorita a noi familiare, come le guardie svizzere fanno il picchetto d’onore al papa. Custodendo il creato, noi siamo le guardie svizzere del Creatore, non perché Lui abbia bisogno di essere difeso – che vera difesa possono mai fare tali guardie? – ma per dare kavod, per onorare e magnificare… (secondo tutte le varienti offerte dal qaddish).
Le-‘ovdà è più intuitivo: si lavora per la manutenzione del mondo; ma anche per sviluppare, in modo innovativo, il suo enorme potenziale. E il tema del lavoro, al quale il Creatore ha assegnato sei giorni alla settimana su sette, è centrale nella vita ebraica, nella Torà e dunque nell’halakhà; ma è tema centrale anche per l’etica, come nucleo dei doveri dell’umanità (senza dicotomie, semmai in un intreccio coestensivo, come le due trecce dei pani dello shabbat). Rav Lichtenstein trova in Maimonide conferma di quest’intimo intreccio di doveri etici (custodia/sviluppo del mondo) e doveri halakhico-religiosi, là dove nelle Hilkhot gezelà [su furti e proprietà] si legge: “Non è buona cosa, per una persona, trascorrere i giorni della propria vita occupandosi d’altro che non siano dibbrè chokhmà, la sapienza, e yeshuvò shel ‘olam, lo sviluppo del mondo” (VI,11). Tale sapienza è la Torà, tale sviluppo è il lavoro. Le urgenze ecologiche che ci assillano, e continueranno ad assillarci in futuro, vanno affrontate con un lavoro condiviso ispirato ai valori di custodia e coltivazione additati dalla Torà. Ecco perché Aharon Lichtenstein è stato difinito un ‘umanista religioso’.
Massimo Giuliani, Università di Trento
(24 giugno 2021)