17 di Tamuz e il dovere di ricordare

Ricorre oggi il digiuno del 17 di Tamuz. Come spesso avviene, il calendario ebraico ci proietta in una dimensione temporale, di pensieri di ricordi e riflessioni, molto diversa da quella che ci proviene dalla realtà quotidiana legata al calendario civile. In questa domenica di inizio estate, che induce a clima vacanziero siamo invece chiamati come popolo ebraico a ricordare eventi particolarmente tristi del passato e a chiederci il senso di queste memorie. La Mishnà (Ta’anit 4,6) riferisce alla data del 17 di Tamuz cinque diverse sventure: furono spezzate da Mosè le prime Tavole del Patto, alla vista dell‘idolatria del vitello d’oro; venne meno l’offerta del sacrificio quotidiano sull’altare, durante l’assedio posto dai babilonesi che avrebbe portato alla caduta del primo Santuario; fu inferta la prima breccia nelle mura di Yerushalaim, nel corso dell’assedio posto dalle truppe romane che avrebbe portato alla caduta del secondo Santuario. Altri due eventi tristissimi, di più incerti epoca, sono riferiti a questa stessa data del 17 di Tamuz: per la prima volta un Sefer Torà fu dato alle fiamme dai nemici e fu introdotta una statua nel Santuario. I Maestri ci tracciano dunque un percorso di eventi funesti che porta fino alla caduta di Gerusalemme nelle mani del nemico e infine alla distruzione del Santuario, destinata a cambiare radicalmente la condizione del popolo ebraico. Il punto di partenza è la rottura delle Tavole del Patto in conseguenza dell’idolatria; bisogna fare attenzione a non attribuire al termine idolatria un riferimento esclusivo a pratiche pagane del passato, è invece una grave forma di decadenza che può manifestarsi in ogni tempo, può manifestarsi, tra l’altro, quando una componente della nostra vita, dei nostri valori, dei nostri obiettivi, che avrebbero pure il loro giusto spazio, viene invece elevato a valore assoluto, a criterio principale, se non esclusivo di giudizio. Allora può esserci “avodà zarà” un servizio estraneo. L’idolatria non è sempre così evidente, persino nel caso del vitello d’oro c’è chi spiega che gli ebrei fossero convinti di poter utilizzare l’immagine forgiata nell’oro fuso per rivolgersi al Signore. Bisogna fare attenzione a non sostituire la avodat Hashem, il servizio veramente dedicato a D.O con un culto di cui pretendiamo noi di definire le forme e i modi.
Tra le altre sventure del 17 di Tamuz penso che non sia da trascurare il venir meno dell’offerta quotidiana nel Santuario. Da questo ricordo si ribadisce che la Torah ci richiede un impegno di vita continuo, giorno per giorno, dedichiamo al Signore del nostro tempo delle nostre qualità e delle nostre risorse, perché in questo modo si forma la nostra vita, il nostro legame con il Signore e perché, come ci ricorda il passo biblico“ Da Te tutto proviene e noi diamo a Te ciò che ci viene dalla Tua mano” ( 1°Cronache 29,14).

L’offerta quotidiana da ricomporre forse è anche l’impegno a ritrovare nella Torà, giorno per giorno, ciò che unisce tutto il popolo ebraico e che potrà darci il merito di rivedere la ricostruzione del Santuario. Non a caso siamo entrati oggi nel digiuno avendo ieri ascoltato le parole della Haftarà del profeta Michà: “Uomo, il Signore ti ha detto che cosa è bene e che cosa Egli richiede da te, se non che tu operi con giustizia, ami la bontà e procedi umilmente con il tuo D.O” ( Michà 6,8)

Rav Giuseppe Momigliano, rabbino capo di Genova