Contro il razzismo,
inginocchiarsi o no

Contro il razzismo è giusto intervenire convinti, attivamente e a gran voce; ma perché tutti in ginocchio?
Black Lives Matter ha lanciato a Euro 2020 una nuova forma di protesta in opposizione all’odio razziale, purtroppo così diffuso nelle tifoserie calcistiche: durante la presentazione ufficiale delle squadre i giocatori sono invitati a inginocchiarsi per segnalare compattamente il loro dissenso da ogni forma di discriminazione. Dissenso sacrosanto, per carità; ma attenzione alle scelte obbligate, che divengono consuetudini, mode, atti doverosi sottraendoti ai quali passi automaticamente dalla parte del torto e rischi di essere considerato a tua volta un discriminatore. Perché questo è il pericolo connaturato a simili tendenze pseudoculturali di massa: come per il movimento dei distruttori di statue, chi per ragioni di autonoma scelta individuale si dissocia dal gesto collettivamente imposto è bollato come reazionario, colonialista o peggio. Ma quali sono le ragioni intrinseche per guardare con sospetto e diffidenza all’inginocchiamento di gruppo?
Innanzitutto, di solito sono i regimi totalitari a imporre gesti e riti collettivi di riconoscimento massificato, mentre le democrazie lasciano spazio alla protesta organizzata, mai comunque formalizzata o semi-forzata (altrimenti che protesta è?) e aprono alla possibilità della modalità individuale di dissenso. Inoltre il pericolo legato al presunto “bel gesto” del tutti in ginocchio consiste nel fatto che qualcuno degli strapagati campioni degli Europei possa pensare di essere davvero antirazzista per il solo fatto di assecondare una tendenza creata dai mass media, come se dimostrare vero antirazzismo non significasse invece altro: apertura al diverso, amicizia e accoglienza nei suoi confronti, aiuto economico e sociale a chi giunge profugo scacciato da mondi lontani e violenti, concreta collaborazione affettiva e culturale al suo inserimento, ecc. Opporsi con forza alle indegne gazzarre che troppo spesso si verificano negli stadi quando un calciatore di pelle più scura tocca il pallone è doveroso: ma con il pensiero, le dichiarazioni, i gesti concreti di solidarietà, il rifiuto di continuare a giocare, se serve; non con una stucchevole manfrina che in fondo non cambia in nulla le cose e di per sé non attesta la civiltà di chicchessia. È troppo facile acquisire la patente di umanità e disponibilità verso l’altro ripetendo un copione condiviso.

David Sorani